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 2016  febbraio 17 Mercoledì calendario

Il Protocollo Abu Omar per Regeni, ovvero passare al computer tutti i cellulari che il 25 gennaio hanno agganciato la cella nella via del Cairo dove abitava

Lo potremmo chiamare Protocollo Abu Omar. È quella indagine raffinata della polizia italiana che, sotto la guida del magistrato Armando Spataro, ricostruì, partendo dall’analisi dei telefonini presenti nella strada al momento del rapimento dell’imam egiziano, i movimenti del gruppo di agenti segreti inviati dalla Cia per la «extraordinary rendition» milanese. Ebbene, i nostri investigatori inviati al Cairo hanno chiesto di replicare il Protocollo. Hanno chiesto cioè agli egiziani di passare al computer tutti i cellulari che il 25 gennaio, giorno in cui Giulio Regeni fu portato via, hanno agganciato la cella nella via del Cairo dove abitava. Per il momento, però, le autorità egiziane non hanno fatto sapere nulla al proposito.
Gli investigatori italiani, quel gruppo misto di Ros e Sco che sta lavorando da giorni all’omicidio Regeni, si è fatto un’idea chiara di come sono andate le cose: un gruppo tuttora sconosciuto di sequestratori ha aspettato il giovane Giulio per molte ore nascosto in strada, probabilmente chiusi dentro un furgone. Giulio uscì di casa attorno alle ore 20 per andare all’appuntamento con il suo amico Gennaro Gervasio, ma i sequestratori non sapevano a che ora sarebbe uscito. In quelle ore di attesa, sicuramente i sequestratori hanno usato i loro cellulari. È fatale: lo fecero gli agenti segreti della Cia, perché non il gruppo che ha «prelevato» Giulio? Così facendo, però, avranno lasciato una traccia telematica. Questo hanno chiesto gli italiani alla polizia egiziana: un’analisi sofisticata dei tabulati di tutti i cellulari presenti in strada. Immediatamente dopo il sequestro, però, il gruppo di cellulari – due? tre? – si dev’essere mosso per andare via. Con l’analisi comparata delle celle che i cellulari sospetti hanno agganciato, si può ricostruire il tragitto che fu fatto con il furgone che fu usato per portare via Giulio.
Nel caso di Abu Omar, grazie alle celle, la polizia poté documentare la corsa dalla via di Milano fino all’aeroporto militare di Aviano dove c’era evidentemente un aereo della Cia pronto per il decollo. Il Protocollo prevede dunque analisi comparate, identificazione dei numeri sospetti, confronto di traffico telefonico. La squadra investigativa a servizio di Spataro risalì, tramite il reticolo di telefonate, a delineare il perimetro del gruppo. Il passo successivo fu trovare l’identità delle persone che utilizzavano quei cellulari. A ogni numero fu collegata una faccia e persino le stanze di albergo dove avevano alloggiato, e quali carte di credito avevano utilizzato. Una scia tecnologica che ha inchiodato gli agenti della Cia al processo. 
Nel caso Regeni, se il Protocollo fosse applicato a dovere è ipotizzabile che si possa risalire facilmente al sito dove il povero giovane fu portato, e dove probabilmente fu seviziato e ucciso. Potrebbero non servire nemmeno le telecamere di sicurezza dei negozi che si affacciano su quella strada, Lamboa Street nel quartiere di Dokki, che pure – secondo quanto la controparte egiziana continua a garantire agli italiani – sono stati regolarmente acquisiti e che sono all’esame. In un caso come nell’altro, però, il team italiano ha finora potuto solo avanzare delle richieste. Non ha avuto ancora risposte. Si spera ora che le risultanze possano arrivare a Roma attraverso la rogatoria internazionale.