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 2016  febbraio 17 Mercoledì calendario

Maternità surrogata? Lasciamo parlare le sentenze

Due giorni fa il Tribunale di Roma ha assolto due coniugi romani dall’accusa di aver alterato, mediante false attestazioni, lo stato civile dei gemelli nati nel 2012 in Ucraina con la maternità surrogata. Storia ed esito simile a Firenze, dove il Tribunale dei minori ha scagionato un coppia di Lucca incriminata per aver dichiarato alla polizia di frontiera di Fiumicino che i due gemelli nati il 23 dicembre 2014 erano i loro figli biologici. In realtà erano nati in Ucraina attraverso la surrogacy, permessa a Kiev se almeno il 50% del patrimonio genetico corrisponde a uno dei due genitori. Cosa poi confermata grazie ai test del Dna.
In Italia, dove la gestazione per altri, o l’utero in affitto, (espressione usata dai più critici), è vietata, il problema si pone al momento della trascrizione del certificato di nascita. Il tema si intreccia alla stepchild adoption per i gay su cui infuria la battaglia delle unioni civili. Ma, va detto, in realtà riguarda esclusivamente gli eterosessuali che sono la maggioranza di coloro che si aggrappano alla maternità surrogata. La menzogna, necessaria per il padre e la madre che tornati in Italia si definiscono i genitori biologici, si trasforma in un reato. E infatti fino al 2014 succedeva che i giudici tendevano a punire chi aveva pagato per la surrogacy nei Paesi dove è legale, registrando poi i figli in Italia. Così una coppia di Brescia è stata condannata a 5 anni e una di Cremona a 3. Poi qualcosa è cambiato. Due sentenze del 2014 della Corte europea dei diritti dell’uomo, cui avevano ricorso due coppie francesi, hanno stabilito che il diritto del bambino ad avere un’identità accertata è prevalente rispetto all’individuazione dei genitori biologici. E di questa identità è parte fondamentale lo status di figlio: la certezza di avere una famiglia chiara. Viene introdotta, cioè, una sorta di «genitorialità sociale» a tutela del minore.
«È stato stabilito che chi nasce da una surrogazione, anche se vietata in uno Stato membro, deve essere trascritto come figlio della coppia che lo ha voluto» spiega Ezio Menzione, avvocato tra i massimi esperti della materia che ha patrocinato e vinto una dozzina di casi simili, l’ultimo dei quali quello dei genitori assolti a Roma. Dopo la Francia, Strasburgo ha puntato il dito contro l’Italia, condannata nel gennaio 2015 per aver violato il diritto di una coppia sposata di Campobasso a poter riconoscere come proprio il figlio nato in Russia da madre surrogata. Qui la storia era un po’ più complicata e riguardava la decisione dei tribunali italiani di allontanare il bambino e affidarlo ai servizi sociali. La Corte europea ha segnato così uno spartiacque e le sue sentenze hanno cominciato a fare giurisprudenza. È la legge prima di una legge. Su oltre venti casi, gli unici tre finiti in condanne sono precedenti al pronunciamento di Strasburgo. Nel marzo 2015 la coppia di Brescia ha visto in appello capovolgersi il verdetto a suo favore. «La motivazione dei giudici europei è semplice – conclude Menzione – è il bene superiore del minore che vince su tutto».