La Stampa, 17 febbraio 2016
Airola, il grillino che con un salto triplo all’indietro (e un congiuntivo sbagliato) ha detto no al supercanguro, facendo zompare in aria i marsupiali del Pd e forse anche la Cirinnà
E alle fine un canguro lo abbiamo visto. Saltella così così, un po’ sciancato, l’agilità è prerogativa perduta da lustri, ma ogni zompino è una danza di gioia: Gaetano Quagliariello fa ingresso in scena, nella sala Garibaldi – quella dello struscio – a piedi uniti e mani orizzontali sotto il mento. Che meraviglioso cangurino! Zomp! Zomp! E se la ride, ed è talmente sublime, talmente un apologo di sé, che riscatta tutto: l’ultimo balzo conosciuto, dalla maggioranza all’opposizione, e dal Nuovo centrodestra a Idea, dopo il balzo da Silvio Berlusconi verso Enrico Letta, e cioè tutte canguresche evoluzioni offerte con cipiglio accademico. Venuto fuori, tra l’altro, proprio l’altro ieri quando Quagliariello aveva catalogato le varianti di specie – il supercanguro, il supercanguro geneticamente modificato e il supercanguro vivisezionato – a ognuna delle quali corrisponde un trucco parlamentare. Le spiegazioni tecniche vi saranno risparmiate ma va almeno detto che il canguro è un emendamento di maggioranza (cioè una modifica alla legge) che abbatte tutti o quasi gli emendamenti di opposizione. E, nel dibattito di ieri, il momento imperdibile è stato quello in cui Alberto Airola, dei cinque stelle, con un salto triplo ha detto no al cangurone del Pd, sebbene a rischio di far cadere la legge sulle Unioni civili. Il succo del ragionamento – al netto di un «se ci troveressimo» sfuggito alla sintassi di Airola – era che il Movimento non poteva far passare le Unioni civili con un mezzo già definito mezzuccio, o truffa, ogni volta che era stato usato contro di loro per bloccare il dibattito in aula e far passare riforme costituzionali, legge elettorale e altre urgenze governative.
Bisognava vedere l’aula: trecento e rotti marsupiali saltati sulle sedie. E chi se lo aspettava? Tanto che, dopo qualche minuto di sorpresa, si erano alzati i cori dai banchi leghisti e dai quelli dei cinque stelle («voto / voto»), e poi erano stati sventolati biglietti e cartelli preparati al volo per diffondere il medesimo messaggio. Intanto Airola se l’era svignata dall’emiciclo con passo da furia, scansando amici di sempre e amici dell’ultimo minuto, come il forzista Augusto Minzolini che aveva cercato l’abbraccio, o il placcaggio. Mica solo lui, tutti scomparsi in un istante, scomparso il capogruppo Luigi Zanda, che poco prima aveva giustificato il ricorso al canguro perché almeno la legge sarebbe rimasta coerente, e non inquinata da modifiche decise col voto; scomparso il ministro Andrea Orlando, presente ai banchi del governo nel posto che solitamente è di Maria Elena Boschi; scomparsa la senatrice Monica Cirinnà, che dà il nome alla norma in calendario, e vista nei corridoi mentre con l’indice tracciava in aria il segno della croce, come a dichiarare il decesso del testo. Esagerata: è soltanto ferito, ne uscirà probabilmente zoppo: fine curiosa in un giorno di canguri. È che va così: di metafore se ne troverebbero a decine, ne ispirerebbe Maurizio Sacconi sceso verso Zanda a insospettabili falcate, furibondo, per protestare contro l’alchimia regolamentare, lui che col suo Ncd da un biennio appoggia gli stratagemmi che permettono a Matteo Renzi di strapazzare il Parlamento. Ne ispirerebbero i senatori di Sinistra e libertà, imbarazzati dal cinismo con cui di botto si son fatti piacere la bestia – sempre il solito canguro – che era immonda fino alla volta scorsa. Funziona così da queste parti: quello che andava bene ieri non va più bene oggi, e viceversa, e in base alle convenienze del momento. E l’andirivieni non è finito. Stamattina un canguro o un cangurino o almeno un grillo – minuscolo! – sarà di nuovo lì a saltare dietro a Quagliariello.