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 2016  febbraio 17 Mercoledì calendario

Con la scusa che tutti vogliono la pace, la guerra non finisce mai

Da più di settant’anni viviamo, anche se non ci sembra, in una lunga idillica pace. Infatti da più di settant’anni nessuno Stato ha dichiarato guerra a nessun altro e tutti sono stati dunque amici di tutti. Certo, si sono gettate continuamente bombe, sono state compiute e si compiono stragi sanguinose, eserciti si sono scontrati e si scontrano nei più diversi luoghi della terra; la Terza guerra mondiale – quella cosiddetta fredda, in realtà talora caldissima, bruciante come il napalm – è stata vinta dall’Occidente e persa dal blocco comunista, quarantacinque milioni di morti tra il 1945 e il 1989 in Paesi per nostra fortuna lontani. Ma non c’è stata dichiarazione di guerra né trattato di pace. Mentre le terribili guerre d’un tempo almeno finivano, oggi sembra che non ne finisca nessuna: quella in Afghanistan sta durando tre volte la Seconda guerra mondiale e non ha ancora né vinti né vincitori.
Ora la guerra infuria nei Paesi più vari, una vera Quarta guerra mondiale ma senza che si sappia con precisione di chi contro chi. Assad è un alleato o un nemico dell’Occidente? L’Arabia Saudita è un’alleata dell’Occidente, ma nel suo territorio si preparano i terroristi che vanno a portare la strage in Occidente e dovunque.
La guerra viene ripudiata in molte costituzioni dei Paesi civili. Basta questo a farla sparire? La stessa parola «guerra» viene pronunciata a fatica, come una brutta parola fra gente perbene; anche se si spara, si bombarda, si uccide, si distrugge, si muore, si preferisce parlare di operazioni di polizia internazionale.
La pudica reticenza delle parole non impedisce di gettare bombe, ma inibisce talora di comportarsi, se si è di fatto in guerra, come ci si comporta quando si è in guerra. La riluttanza a sparare è una grande virtù, ma se si mandano a difendere popolazioni minacciate non suore di carità bensì soldati, ciò implica che se, per difendere una popolazione o un gruppo inerme dal massacro, è necessario sparare bisogna purtroppo sparare e non comportarsi come quelle truppe dell’Onu nell’ex Jugoslavia mandate a impedire massacri e invece talora rimaste spettatrici passive del massacro, col proiettile mai uscito dalla canna a differenza dei proiettili che uscivano dalle bocche da fuoco dei massacratori.
La conduzione della guerra sta diventando una specie di consultazione assembleare, che non diminuisce il sangue versato nel mondo ma rende assai meno efficaci le misure per impedire che si continui a versarlo. In queste settimane si parla ad esempio di probabili azioni militari – azioni di guerra – contro il cosiddetto Stato Islamico jihadista. I giornali riportano opinioni, proposte; uno Stato chiede a un altro di intervenire suggerendo le modalità e le zone di intervento, un altro acconsente e insieme nicchia, avanza altre ipotesi operative. Se gli Alleati, quando preparavano lo sbarco in Normandia che decise la vittoria contro la Germania, avessero discusso pubblicamente i loro piani, tempi, modalità e località dello sbarco, quest’ultimo forse non sarebbe avvenuto e la Shoah sarebbe durata ancora di più. Un intervento militare è efficace quando se ne viene a conoscenza a cose già avvenute. Ma questo vorrebbe dire essere disposti, pur controvoglia, a fare la guerra, che invece ufficialmente non si fa più.