Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  febbraio 17 Mercoledì calendario

Tu la conosci Taylor Swift?

Tre donne e un afroamericano protagonisti assoluti dei Grammy, gli Oscar della musica, assegnati a Los Angeles. Se per quelli del cinema è già polemica prima ancora della loro assegnazione per via delle nomination monopolizzate dai bianchi, il più grande spettacolo musicale dell’anno è stato un’apoteosi della «diversity». Ha trionfato Taylor Swift col suo album «1989», prima donna a ottenere questo riconoscimento due volte nei 58 anni di storia dei Grammy Awards.
Una vittoria sigillata da questa cantante dal temperamento d’acciaio con un breve discorso pieno di orgoglio femminile, un invito alle sue fan e a tutte le donne a non piegare mai la testa: «Voglio dirvi che ci saranno persone che cercheranno di sminuire il vostro successo. Ma se crederete in voi stesse, un giorno arriverete dove volete». Parole nelle quali c’è anche un implicito «regolamento di conti» con Kanye West, il rapper che l’ha attaccata più volte con insulti sessisti e ha tentato di degradarla a star che vive di luce riflessa.
Ma la serata, oltre che della ventiseienne Taylor Swift, è anche di Lady Gaga che celebra con la sua voce e i suoi travestimenti David Bowie in un lungo medley dei brani più famosi del cantante inglese, da «Space Oddity» a «Under Pressure». E di Adele, incolpevole protagonista in negativo per gli incidenti tecnici che hanno rovinato la sua esecuzione di «All I Ask», un brano molto difficile e delicato: solo la sua voce e un pianoforte. Si comincia con le note stridule dello strumento, suoni simili a quelli di una chitarra. All’inizio viene ipotizzata un’interferenza dei musicisti di Justin Bieber che stanno provando dietro le quinte. Poi la voce di Adele che si appanna e quasi sparisce per 8 secondi. Adele sgrana gli occhi ma va avanti, come può. Alla fine è lei stessa a spiegare: un microfono fissato sopra il pianoforte è caduto dentro lo strumento. E i tecnici che hanno cercato di escluderlo hanno finito per interferire sul microfono della cantante.
Ma la serata ha avuto un altro protagonista assoluto, il rapper nero Kendrick Lamar che ha vinto il Grammy per il miglior album rap col suo «To Pimp a Butterfly» e altri 4 degli 83 premi in palio nella manifestazione dello Staples Center, il grande palasport di Los Angeles, per la prima volta trasmesso ovunque non solo in mondovisione ma anche su Internet. Lamar ha monopolizzato l’attenzione soprattutto con la forza della scenografia scelta per la sua performance musicale: lui in testa a una colonna di ballerini e cantanti tutti in divisa da detenuti, ammanettati e legati l’uno all’altro da pesanti catene. Dietro di loro le celle con sassofonisti e chitarristi che suonano dietro le sbarre.
Un pugno nello stomaco, una denuncia della discriminazione dei neri che finiscono in carcere con troppa facilità, ma ieri i Grammy la loro attenzione per la «diversity» l’hanno celebrata in molti altri modi: dedicando un minishow alla carriera di Lionel Richie o premiando il musical Hamilton, l’epopea dei Padri Fondatori scritta e interpretata da Lin-Manuel Miranda, portoricano di New York. E anche col riconoscimento per la migliore «performance rock» andato agli Alabama Shakes, guidati dalla immensa (in tutti i sensi) e scatenata Brittany Howard, cantante e chitarrista nera carismatica e prorompente.
Per trovare dei bianchi (peraltro inglesi) bisogna arrivare ai premi per la canzone dell’anno, la ballata «Thinking Out Loud» del cantautore Ed Sheeran, e a quello per il disco dell’anno: «Uptown Funk» di Mark Ronson, trasformato in onnipresente successo mondiale della musica dance dall’interpretazione di Bruno Mars, un hawaiano con padre portoricano e madre filippina.
Infine i tributi musicali ad altri artisti scomparsi, oltre a Bowie: BB King, Glenn Frey degli Eagles, mentre per celebrare il leader del gruppo metal dei Motörhead, Lemmy Kilmister, morto due mesi fa, si sono esibiti gli Hollywood Vampire di Alice Cooper, vecchio e controverso mito del «rock macabro». Per l’occasione accompagnato anche da Joe Perry degli Aerosmith e da un sorprendente Johnny Depp, attore celebre per le sue trasformazioni, ma che nessuno aveva ancora visto nel ruolo di chitarrista di un gruppo punk. Più «diversity» di così...