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 2016  febbraio 17 Mercoledì calendario

Com’è fare il Papa. Intervista a Jude Law

«Che cosa farò ora? Sono piacevolmente disoccupato. Prima l’inattività mi spaventava, un tempo non avrei usato queste parole. Ma ho appena finito The Young Pope, il film televisivo di Paolo Sorrentino. Sono sette o otto puntate, abbiamo lavorato duro. E ora sono qui in concorso alla Berlinale», dice Jude Law. Il film si intitola Genius. Michael Grandage è un celebre regista teatrale ed è al suo debutto nel cinema. La sceneggiatura è di John Logan (Il Gladiatore e Spectre, l’ultimo 007). È la storia di un’amicizia nella New York anni Trenta: quella tra lo scrittore Thomas Wolfe (Law) e l’editor Max Perkins (Colin Firth), colui che scoprì Hemingway e Scott Fitzgerald. «Sono due grandi uomini che meritano di essere conosciuti».
Cominciamo dal «suo» Papa: che tipo è?
«Un Papa immaginario, di New York, piuttosto conservatore, una figura complessa. Lo vedremo anche nella sua vita quotidiana e nella percezione che gli altri hanno di lui. Ho visto Habemus Papam di Nanni Moretti e l’ho trovato amabile, soprattutto quando mostra quello che può succedere durante un conclave. Papa Francesco? Sta facendo un lavoro fantastico».
Dal Papa inventato a Wolfe, uno scrittore dimenticato.
«Anch’io non l’avevo mai sentito nominare prima, la gente tende a confonderlo con Tom Wolfe de Il falò delle vanità. Mi sono preparato leggendo i suoi libri, Angelo, guarda il passato o Il fiume e il tempo. Eppure alla sua epoca era famoso come Hemingway e Scott Fitzgerald (appaiono nei camei di Dominic West e Guy Pearce, ndr). Wolfe era esuberante, gesticolava come un italiano, viveva avventure e risse da bar, egoista come lo sono tanti artisti. Non sono così negativo: Picasso era egoista, ma ci ha resi tutti più ricchi».
La moglie, interpretata da Nicole Kidman, Wolfe non la considerava proprio.
«Rifiuta la famiglia, la distrugge. Liti, riappacificazioni… Sua moglie, Aline Bernstein, era un’apprezzata costumista e scenografa e la sua forza e energia vengono magnificamente restituite da Nicole Kidman, con cui non lavoravo da Ritorno a Cold Mountain. Nella realtà Aline aveva 20 anni più del marito, cosa che non è tra me e Nicole. Il regista però ha mantenuto altre verità, il vezzo di Perkins nel non togliersi mai il cappello, nemmeno a tavola, era vero».
Max Perkins ha inventato la figura moderna dell’editor...
«Sì, quello che interviene nella costruzione e nella stesura di un libro. È interessante raccontare un uomo che libera la creatività altrui, cercando di restare invisibile. Per lui, Wolfe era il figlio maschio che non aveva avuto. Perkins era integro, coraggioso. Ha creduto in Wolfe quando nessuno ci credeva. Eppure certe volte il senso di gratitudine di Thomas vacillò. Con Colin Firth, che non avevo mai incontrato prima su un set, abbiamo cercato un ritmo delle parole, un suono tra noi».
E in lei, che ha cominciato giovanissimo, non è mai vacillata la voglia di recitare?
«A sei anni avevo le idee chiare. Un giorno mi piacerebbe insegnare e fare il regista. Ma, come dicevo, sono meno ansioso. Mi piace improvvisare piccoli show per i miei figli, andare in vacanza in Sudamerica. Ci sono periodi che non voglio vedere nessuno. Non ho un rapporto compulsivo con la tecnologia. Niente Twitter o Facebook. Controllo le mail sul computer la notte prima di andare a dormire. Sono contento di prendere il mio tempo e di leggermi un libro. Spero che l’effetto del nostro film sarà quello di rivalutare l’opera di Thomas Wolfe».