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 2016  febbraio 17 Mercoledì calendario

Le ceneri di Bialetti in una moka. I funerali dell’omino coi baffi

L’uomo che con la sua moka ha svegliato il mondo, dentro una moka l’ha anche lasciato. Il funerale alla caffeina di Renato Bialetti, «l’omino coi baffi» dei Caroselli mitici, è un’immagine un po’ surreale, magari curiosa, certamente bellissima. Davanti all’altare, fra i fiori, non c’era la solita bara, ma una caffettiera da 24 tazzine, la più grande, con dentro le ceneri di chi l’aveva inventata, prodotta, pubblicizzata, venduta, sicuramente anche amata. Sopra la moka, l’effigie dell’«omino Bialetti», che era poi lui in persona, nella caricatura di un altro genio, il fumettista Paul Campani.
Bialetti è morto ad Ascona e si è fatto cremare lì. Ma per il funerale l’hanno riportato a Casale Corte Cerro, vicino a Omegna, dov’era nato 93 anni fa. Nel 1933, suo padre Alfonso aveva iniziato a produrre la moka lì, in una zona piena di fabbriche di casalinghi e di marchi poi diventati celebri, Alessi, Lagostina, Girmi, oggi quasi tutti non più nelle mani delle famiglie dei fondatori. La moka, Renato l’aveva perfezionata e soprattutto aveva saputo promuoverla. Successo trionfale: si calcola che in giro per il mondo ce ne siano quasi 300 milioni di esemplari. Per farla conoscere, Bialetti ci aveva anche messo la faccia ed era diventato «l’omino coi baffi», quello che la sera mandava a letto i bambini con lo slogan «Sembra facile» e la mattina svegliava i loro genitori con il caffé della sua moka. I Caroselli non si chiamavano ancora spot e il «made in Italy» non era ancora stato battezzato così, ma già conquistava il mondo con prodotti come questi, che partivano da un colpo di genio e finivano per diventare il simbolo di un Paese e del suo miracolo. «Nemmeno lui sembrava capace di spiegarsi il successo della sua moka – raccontava ieri al funerale un suo vecchio amico, Gian Luigi Dago -. Ma in realtà il segreto del suo successo era lui. Il suo modo di fare, di interpretare le situazioni».
La storia di successo di Bialetti era durata fino al 1986, quando aveva venduto l’azienda alla Faema che l’ha poi a sua volta ceduta alla famiglia Ranzoni di Brescia. Si godeva la pensione fra la casa di Ascona, nel Canton Ticino, e la villa di Pallanza, sul lago Maggiore. Sono stati i figli, Alessandra, Antonella e Alfonso, a decidere che l’ultimo viaggio l’avrebbe fatto dentro la sua moka. Mai, credo, si è visto a un funerale il celebrante incensare una caffettiera e la gente accarezzare non una bara, ma un utensile da cucina. Eppure la scena non era per nulla buffa: ci si indovina un po’ di rimpianto e tanto orgoglio, semmai. Alla fine, una nipote ha preso la moka sotto il braccio e l’ha portata alla tomba di famiglia, nel cimitero di Omegna. 
Fra i duecento partecipanti, molta nostalgia dell’uomo, esigente con gli altri ma soprattutto con se stesso. «Se ti diceva “sì”, era come se l’avesse inciso nella pietra. Non ho mai sentito dire da qualcuno che “il Bialetti” avesse mancato alla parola data», racconta chi l’aveva conosciuto. Per chi non l’aveva conosciuto se non nella caricatura sulle sue caffettiere, la nostalgia è per quell’Italia che non aveva bisogno di sentirsi dire «stay hungry», perché affamata, di crescita, di successo, d’innovazione lo era già di suo, e comunque non parlava l’inglese né parlava di marketing. Però lo sapeva fare, anche se in bianco e nero, e con le sue invenzioni straordinariamente semplici ma semplicemente straordinarie conquistava il mondo intero. Conservando anche uno spirito, un’ironia e una leggerezza tali da decidere di andare all’altro mondo dentro una moka.