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 2016  febbraio 17 Mercoledì calendario

Sulla bravura di Beppe Fiorello

Ci sono fiction in cui è prevalente il valore di testimonianza e come tali vanno vissute. Io non mi arrendo è una di queste. Racconta la storia di Roberto Mancini (Beppe Fiorello), il vicecommissario romano che per primo ha scoperto e denunciato le ecomafie nella cosiddetta Terra dei fuochi: una storia tragica senza barriere protettive (Rai1, lunedì e martedì, 21.25).
Mancini negli anni Novanta si ritrova a lavorare in Campania dopo un’indagine per usura. Qui scopre alcune attività dell’avvocato Gaetano Russo (Massimo Popolizio), che acquista terreni apparentemente inutilizzabili. In realtà, l’uomo riverserà su quei terreni i rifiuti tossici che andranno a inquinare il territorio.
Nei primi anni ’90, Mancini consegnò un’informativa alla Procura di Napoli in cui rendeva noto ciò che aveva visto e soprattutto respirato tra le province di Napoli e Caserta nel corso di allucinanti sopralluoghi nei siti di stoccaggio di materiale, anche radioattivo, e in discariche anarchiche più che illegali.
Fu tra i primi a indicare nel perverso intreccio camorra-aziende del Nord la chiave di volta della strategia del veleno quando in tanti si pensava che i traffici sporchi se li sorbisse giusto la Somalia. Nella miniserie scritta da Jean Ludwigg, Marco Videtta ed Enzo Monteleone, con la collaborazione di Beppe Fiorello e la consulenza di Monica Dobrowolska (la moglie di Mancini) e diretta dallo stesso Monteleone, si descrive la lotta di Mancini contro l’avvocato, durante la quale il protagonista conosce Maria (Elena Tchepeleva), si sposa e ha una figlia, Martina (Giulia Salerno) e si ammala, ucciso dallo stesso male che cercava di combattere.
Come succede spesso in questi casi, l’impianto narrativo è sorretto dalla bravura di Beppe Fiorello e di Popolizio. Il contenuto è così determinante che si sorvola volentieri sulla fragilità delle storie parallele, a partire da quella con la futura moglie.