3 febbraio 2016
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CLINTON Hillary
• (Hillary Diane Rodham) Chicago 26 ottobre 1947. Politico. Segretario di Stato degli Stati Uniti dal 2009 al 2013. Senatrice dal 2001 al 2009. Sposata con Bill Clinton, first Lady dal 1993 al 2001. Candidata alle primarie democratiche per le Presidenziali americane del 2016. Il politico donna americano più influente dopo Eleanor Roosevelt. «L’unico modo per fare la differenza è quello di acquisire il potere».
• «Moglie, madre, avvocato, attivista per le donne e i bambini, first lady dell’Arkansas, first lady degli Stati Uniti, senatore, segretario di Stato, scrittrice, proprietaria di cane, icona di acconciature, patita di tailleur, incrinatrice di soffitti di cristallo» (il suo primo tweet, il 10 giugno 2013).
• Figlia maggiore di Hugh Rodham, dirigente di una fabbrica di tessuti e Dorothy Emma Howell, casalinga, due fratelli più giovani, Hugh e Anthony, educazione metodista: famiglia, tempio, scuola, obblighi sociali. «Ho la malattia genetica del senso di responsabilità».
• Sul tavolaccio di una pescheria in Alaska, ventenne, durante un lavoro estivo, si accorge che dei salmoni che sta pulendo puzzano ma le viene detto di inscatolarli ugualmente, tanto vanno Oltreoceano. Lei butta all’aria gli arnesi dicendo che non è giusto. Si iscrive di lì a poco alla facoltà di legge a Yale. Da anni legge Kierkegaard e Bonhoeffer (scoperti grazie ad giovane reverendo che le ha fatto incontrare Martin Luther King, nel 1962), crede nella vita come servizio, al college (a Wellesley) è stata una leader studentesca, ha protestato per il Vietnam (nel 1968 da repubblicana è diventata democratica) Nel 1970, a 23 anni (impegnata sempre in cause civili mai perse, all’ombra di qualche politico), dà del «fottuto» ad un importate avvocato, Joseph Califano, che difende la Coca-Cola in una istruttoria sullo sfruttamento lavorativo dei migranti. Brillante neo-laureata, nel 1974, entra nello staff della Camera che deve definire il quadro legale dell’impeachment di Nixon nello scandalo Watergate (si batte per negargli l’assistenza legale), poi l’incontro col compagno di studi Bill Clinton, il lavoro nella campagna presidenziale di Jimmy Carter, una cattedra all’Università dell’Arkansas (seconda donna), un posto nel potente studio legale Rose (prima donna), un altro nella Legal Services Corporation (nominata da Carter) e nei cda di grandi aziende come Wal-Mart (supermercati), Tcby Enterprises (yogurt), Lafarge (cemento). E soprattutto i 20 anni da first lady: 12 in Arkansas – tra il 1978 e il 1992 – e otto alla Casa Bianca (dal 1993 al 2001) – mescolando radical piglio da attivista all’eleganza liberal-moderata. «Io sono un progressista che ama fare le cose e so come stare con i piedi per terra».
• Dal 2000 è il primo senatore donna nello Stato di New York, rieletta nel 2006. Nel 2008 tenta la scalata alla Casa Bianca ma viene sxonfitta alle primarie democratiche da Obama che, una volta diventato presidente, la nomina segretario di Stato (dal 2009 al 2013). Da senatrice paladina del controllo delle armi in patria, diventa fautrice del militarismo americano all’estero (in Iraq, Afghanistan, Libia e il finanziamento dei ribelli siriani anti-Assad poi confluiti nell’Isis).
• Intanto la coppia Clinton continua a viaggiare a gonfie vele. «Abbiamo fatto molta strada da quando andavo porta a porta per il Fondo di difesa dell’infanzia e guadagnavo 16.450 dollari come giovane professoressa di diritto in Arkansas». Parecchi dollari dei 3 miliardi guadagnati dalla coppia in 40 anni di carriera politica (dei quali 2 miliardi confluiti nella benefica Fondazione Clinton) provengono da grandi banche e ricchi hedge fund. Dal 2007 al 2014 ha guadagnato 141 milioni di dollari, una buona fetta dai discorsi a pagamento. Lei li interrompe con la seconda scesa in campo per la Casa Bianca. Lui no perché deve «pagare le bollette». «Ho un’amica che fino a qualche settimana fa guadagnava milioni ed ora vive in un pulmino in Iowa» (Barack Obama, maggio 2015).
• Nel video della sua candidatura, l’11 aprile 2015, lei annuncia: «Ogni giorno gli americani hanno bisogno di un campione. Io voglio essere quel campione».
• «È preparatissima, studiosissima e, rispetto alla media degli avversari e degli americani, non provinciale, ma se questo piace a New York, a San Francisco o a Boston, urta il popolo dell’America di mezzo […] È figlia del Grande Nord, dell’Illinois, di Chicago, una macchia che neppure il lavaggio dei panni nelle acque del sud con il marito, nel fiume Arkansas, ha del tutto pulito» (Vittorio Zucconi all’epoca della sua prima campagna per le presidenziali).
• Per la sua seconda candidatura ha sfoggiato un profilo è molto più basso. Non solo ritorna l’appello alle donne ma arriva il sogno della «fine del governo dei pochi, da parte di pochi, e per i pochi». E un nuovo look curato da Kristina Schake già consulente d’immagine di Michelle Obama. I tailleur? Immancabili ma stavolta con gusto da statista: non abbinamenti arcobaleno ma «tutte le sue declinazioni di blue elettrico, petrolio, bluette» (Vogue). E un lifting (eseguito in segreto nella casa di Chappaqua dice il giornalista Ed Klein). Ora, quella che per Forbes è la donna più potente d’America (seconda al mondo dopo Angela Merkel), sfoggia un caschetto biondo dorato e non disdegna il cerchietto. «Se voglio battere una storia fuori dalla prima pagina mi basta cambiare il mio taglio di capelli» ha confessato.
• Nel luglio 2015 ha fatto chiudere le porte di un centro commerciale sulla Fifth Avenue per una seduta da 600 dollari al John Barrett Salon (Marie Claire). Si era in pieno filegate. Infuriava la polemica per la gestione dei suoi affari governativi da Segretario di Stato senza un indirizzo email governativo, ossia senza alcun controllo. Migliaia di mail con leader mondiali, politici, ceo, vip (e anche esponenti lesbo che rinfocolano la diceria sulla sua bisessualità).
• Da sempre la Clinton ha la capacità di passare indenne attraverso gli scandali: la scalata bancaria della Stephens, la frode immobiliare di Whitewater, il suicidio sospetto di Vince Foster, il Mena Connection, gli affaires sessuali del marito (lei ha il compito di difendere le scappatelle di “Buba” e screditarne le amanti più celebri, dall’impiegata Paula Jones del 1991 alla stagista Monica Lewinsky del 1998, vicenda questa che costerà alla coppia spese legali per 850mila dollari ed un impeachment ma a lei il trionfo della moglie tradita che perdona).
• Ufficialmente ancora Mrs Clinton sebbene gli annunci di separazioni (smentiti) siano costanti, l’11 ottobre 2015 manda a Bill un tweet: “40 anni fa ho sposato quel ragazzo carino della biblioteca”. E’ lei che aveva fatto la prima mossa tra i libri di Yale con l’impacciato studente Bill. «Se dobbiamo continuare a guardarci sarà meglio presentarci. Il mio nome è Hillary Rodham». È il 1971 e lui è conquistato da quella ragazza dai modi spicci e dalla candida sensualità. Per quattro anni le chiede inutilmente di sposarla. Lo faranno l’11 ottobre nel 1975 nella casa di Fayetteville che lui le ha segretamente acquistato sapendo che le piaceva; cinque anni dopo nasce Chelsea.
• La notte del 4 novembre 1974 è accanto al suo Bill quando perde per 60mila voti il seggio democratico alla Camera. Lei si volta verso Paul Fray, responsabile della campagna, e gli dice: «Fottuto bastardo ebreo». Lo ha rivelato il reporter investigativo Jerry Oppenheimer, nel 2000. David Kendall, parcella da 450 euro all’ora, legale dei Clinton, non sporge querela.
• I libri che rivelano particolari sulla muscolarità lessicale della Cliton sono innumerevoli. Lei che urla parolacce all’alba del Labor Day del 1991 perché la bandiera non è ancora issata, lei che sbraita contro le guardie del corpo che le stanno troppo vicino (lo riferisce l’ex agente dell’Fbi Gary Aldrich che nel 1997 ha fondato una associazione per difendere altri delatori: suo primo cliente Linda Tripp, che registrò le confessioni della Lewinsky, secondo la stagista su mandato della Clinton); lei che fa riatterrare l’elicottero perché ha lasciato gli occhiali da sole nella limousine; lei che sgrida volgarmente Bill per essersi eccitato davanti ad una bellezza ad un galà, lei che gli urla: «Ho bisogno di essere scopata più di due volte l’anno», ecc.
L’autocontrollo di Hillary («ciò che accade nella vita è fuori del vostro controllo, ma come rispondere ad esso è sotto il vostro controllo») è sempre stato indicato come prova di doppiezza dai suoi avversari. Per i suoi estimatori, invece, segno di illuminata «politica della virtù» (New York Times Magazine). Che abbia nervi di acciaio lo ha dimostrato nella questione di Bengasi: l’attentato dell’11 settembre 2012 al consolato Usa, 4 morti tra cui l’ambasciatore. Per 11 ore filate ribatte ad una commissione del Congresso sui «fallimenti sistematici e di leadership» che le sono imputati. E ne esce vincitrice. I 4,5 milioni di dollari dei contribuenti spesi, dice, «avrebbero potuto essere investiti in health care e salari migliori per le donne».
• A dicembre 2012, quando deve riferire al Congresso, viene colpita da una trombosi a seguito di una commozione cerebrale (ufficialmente per disidratazione). È l’inizio di tutto quel gossip sulle sue condizioni di salute che ancora perdura.
• Intanto, con esibita simpatia, eccola sorridere nei selfie con Katy Perry e Kim Kardashian. E a sfoggiare il motto “I’m ready for Hillary” è tutto un ghota in rosa: Melinda Gates, Diane Kruger, Ariana Grande, Kat Dennings, Lena Dunham, Beyoncé, Eva Longoria, Jennifer Garner, Dakota Fanning. Barbra Streisand (che ha versato 2 milioni) e Meryl Streep (700mila dollari). Loro – ma anche tutte le donne d’America – ricordano la frase della first lady alla conferenza Onu sulle donne del 1995: «Facciamo in modo, una volta per tutte, che i diritti umani siano diritti delle donne e che i diritti delle donne siano diritti umani».
• Nel giugno del 2015, nel suo primo discorso da candidata presidenziale, a New York, motteggia: «Sarò la più giovane donna presidente nella storia degli Stati Uniti... E la prima nonna!». Accanto a lei c’è la figlia Chelsea, madre dal 26 settembre 2014 della piccola Charlotte. Non c’è, invece, la figlia «surrogata» di Hillary (New York Times), la segretaria Huma Abedin, 39 anni.
• Libro preferito: I fratelli Karamazov. Film preferiti: Il mago di Oz e Casablanca. Serie tv preferite: Downton Abbey (ma tanto per contrappasso anche Madam Secretary, House of Cards e The Good Wife.
• Ama ballare, nuotare e fare yoga-. «L’unico yoga che pratica Hillary Clinton è la contorsione della verità» (l’attore satirico Dennis Miller).
• Piatto preferito: carne con salse forti, tipo chipotle. Il suo top: l’oliveburger – filetto di manzo grigliato in un panino con hamburger tostato, ripieno di olive verdi – che mangiava al ritrovo nel suo liceo, a Park Ridge, il sobborgo di Chicago in cui è cresciuta. Odia i piselli («in verità non piacciono a nessuno»).
• È stonata ma ha vinto un Grammy (nel 1997) per la lettura, registrata su album, di un suo libro.
• Il suo giorno perfetto: «Passarlo in famiglia, andare a fare una lunga passeggiata, con i nostri cani. Andare a cena fuori con gli amici, vedere un buon film, dormire fino a tardi».