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 2016  febbraio 03 Mercoledì calendario

C’è la storia di Marinella, accoltellata dal marito, quella di Luana, strangolata dall’ex, e quella di Carla, bruciata viva dal fidanzato. Tre casi terribili che parlano ancora di femminicidio

Delle tre donne colpite dai loro uomini in 24 ore, Carla Caiazzo, l’estetista napoletana di 38 anni bruciata a Pozzuoli dal compagno e indotta a partorire la bimba che portava in grembo da 8 mesi, è l’unica che lotta per sopravvivere, ricoverata al Cardarelli, il corpo devastato, mentre lui è rinchiuso in carcere.
Come il balordo nullafacente che nella notte fra domenica e lunedì ha strangolato a Misterbianco, paese affacciato sulla piana di Catania, la madre del suo bimbo di 4 anni, punita perché non voleva sentirne più di quest’uomo denunciato più volte e già condannato nel 2001 per avere strangolato un uomo, sempre per gelosia.
A Brescia invece potrebbe essere stata la depressione, forse causata da problemi economici, a spingere il titolare di una tabaccheria, Paolo Piraccini, ad accoltellare la moglie Marinella Pellegrini al termine di una lite, per poi scappare sporco di sangue in auto contromano, sull’autostrada per Venezia, e schiantarsi contro un Tir.
Tre storie terribili che fanno riemergere il tema del femminicidio, dal Nord al Sud. In un caso, almeno, forse poteva essere evitato. Perché Vincenzo Di Mauro, il bullo di 37 anni che nel Catanese ha strangolato Luana Finocchiaro, 41 anni, madre di altri due bimbi avuti da un precedente matrimonio, l’aveva ripetutamente minacciata, fin dal 2012, senza mai rassegnarsi davanti alla «sua» donna decisa a chiudere ogni rapporto.
Lei si era risolta già 4 anni fa, quando, dopo l’ultimo parto e dopo una breve ma disastrosa convivenza, aveva deciso di rifarsi una vita senza Di Mauro. E per questo il 7 luglio del 2012 aveva presentato una denuncia per minacce e lesioni ai carabinieri. Con l’effetto di un arresto immediato. Annullato dal giudice di pace tre giorni dopo, quando la stessa Luana aveva ritirato la querela. Un errore, come si lamenta adesso il procuratore di Catania Michelangelo Patané. Perché appena liberato, quell’uomo poi sottoposto a sorveglianza speciale era stato così arrogante da passeggiare davanti alla caserma, sbeffeggiando i carabinieri. Presto era tornato alla carica con visite improvvise in casa di Luana. Liti continue. L’ultima, fatale, domenica sera, quando la collera si è trasformata in furia omicida, mentre il piccolo dormiva nella sua stanzetta.
Alle due di notte, lasciato il corpo senza vita della ex compagna ai bordi del letto, ha svegliato il piccolo per portarlo via: «Prendi la bici, facciamo un giro, andiamo dai nonni...». E il bimbo, assonnato, stordito, un cappottino insaccato in fretta, le manine sulla bici rossa, un quarto d’ora dopo s’è ritrovato fra le braccia dei nonni paterni, sconvolti, ma ignari del dramma finché sono arrivati i carabinieri.
Erano trascorse una ventina di ore. Perché il cadavere di Luana, che aveva invano lottato per difendersi, tumefazioni su braccia, gambe e guance, è stato scoperto solo lunedì sera. Quando la madre di lei, allarmata dal telefono che squillava a vuoto, è corsa a cercarla con un altro figlio e ha avvertito i carabinieri mentre chiamava un fabbro per sfondare la porta.
Tabulati e telecamere hanno confermato agli inquirenti il passaggio dell’assassino in zona, anche se alla magistrata Alessia Natale ha ripetuto: «Sono innocente. Le ferite alle mani? Capita di farsi male».
La stessa aria di sfida richiamata negli atti sul delitto di Francesco Tirendi, 47 anni, ucciso da Di Mauro nel 2001 perché convinto che gli insidiasse la fidanzata, allora diciassettenne. Condannato a 11 anni, appena scarcerato era riuscito a conquistare Luana, invaghitasi e subito pentita, nonostante la nascita del piccolo che un giorno guardando il padre scoprirà l’assassino della madre.