Il Messaggero, 6 gennaio 2016
Tre consigli da Umberto Veronesi
Un paio di mesi fa ha compiuto novanta anni. Ma non parla come un “grande vecchio”. La lucidità, la determinazione, la volontà di pensare a dopodomani e un po’ di ironia tradiscono la testa di un saggio. Di un saggio che ha ancora tanto da fare. Come vedere la sconfitta del tumore. L’oncologo Umberto Veronesi disegna l’anno nuovo.
Se fosse stato Babbo Natale che regali avrebbe portato?
«La consapevolezza, perché oggi la salute è sempre di più un atto di responsabilità individuale; la fiducia nella ricerca e la capacità di autodeterminazione, perché stare bene è anche una scelta».
Star bene significa anche “comportarsi bene”? Tre errori da non fare?
«Fumare, mangiare troppo e con un eccesso di carne, fare vita sedentaria. Evitando questi tre semplicissimi comportamenti ridurremmo in modo drastico i tassi di malattia e di morte per le principali malattie dell’uomo»
Lei crede che l’essere umano ami proteggere il suo corpo oppure crede che ci sia ancora molto disinteresse verso la propria salute?
«Anche se il livello medio di consapevolezza è sicuramente aumentato, c’è ancora un’ampia fascia di popolazione che non ha accesso all’informazione corretta sul come proteggersi. Spesso i fumatori sono considerati individui che non hanno rispetto di sé, perché fumano sapendo di creare danni, anche letali, al proprio organismo. Io invece penso che quando un fumatore non smette, è perché non abbiamo adoperato con lui la strategia giusta. Bisogna saper convincere, e non proibire o terrorizzare».
Lei crede che, senza spaventare, sia possibile far cambiare i comportamenti delle persone?
«Assolutamente sì. Spaventando non otteniamo nulla, se non l’effetto opposto a quello desiderato».
Durante la sua vita professionale, si è battuto per la ricerca, per la cura e per la prevenzione. Con le prime due ha fatto centro e con la terza?
«Sono convinto di aver fatto centro nel senso che la prevenzione è oggi il cardine della medicina. Però con il principio preventivo si esce dal mondo della malattia, per entrare in quello della salute. Ma se l’interlocutore diventa la persona sana, il medico da solo non ha tutti gli strumenti culturali per agire. Ha bisogno del contributo e della partecipazione della politica e di tutta la società».
Ha un’idea di quando ce la faremo a sconfiggere il tumore?
«Non si possono prevedere i tempi ma ce la faremo. I più giovani vedranno il successo».
Ha mai pensato di mollare tutto? Le è mai capitato?
«A me personalmente, no».
Quindi, oltre ai comportamenti come il non fumare, non ingrassare o mangiare in modo attento bisogna “curare” anche l’umore o lo stress per tenere lontane alcune malattie? Il cancro per esempio?
«Non c’è alcun legame causa–effetto fra stress o depressione e cancro. È ovvio che se una malattia seria come il cancro si sviluppa in una persona per esempio depressa, la cura si fa molto più complessa perché quella persona fa fatica ad aderire alla terapia e a lottare per la guarigione».
Lei segue un digiuno settimanale, è una sua raccomandazione?
«Il digiuno è importante fisicamente e spiritualmente come regola di vita. Per purificare l’organismo e per esercitare la propria forza di volontà. Dunque dopo aver mangiato molto può far bene. Però vorrei sottolineare che le maratone di queste feste in sé non sono un male. Se anche un giorno o due si eccede nel cibo perché il cibo è rito conviviale e segno di armonia, non accade niente. È la quotidianità che conta. Dovremmo tutti imparare a mangiare meno sempre. E concederci ogni tanto una trasgressione, se lo vogliamo».
L’organismo chiede astinenza?
«L’organismo chiede la quantità di cibo necessaria. Niente di più e niente di meno. Ci deve essere equilibrio fra ciò che entra sotto forma di cibo e ciò che esce sotto forma di energia consumata. Ma l’alimentazione occidentale non è concepita per rispettare questa armonia. Ancora viviamo l’abbondanza della tavola come status symbol».
Ad un giovane che cosa avrebbe portato in regalo per il 2016?
«Fiducia nel futuro»
Ad un giovane medico?
«Ancora più fiducia perché farà la professione più bella del mondo».
E ad un bimbo appena nato?
«La curiosità e la voglia di sapere».