La Gazzetta dello Sport, 6 gennaio 2016
«Ho voglia di nuove sfide, nuove emozioni, nuovi ristoranti, nuove città». Guardiola spiega il suo addio al Bayern
Pep Guardiola è stato di parola. Non aveva mai detto di voler allungare la permanenza a Monaco oltre il periodo stabilito prima di Natale del 2012, quando firmò. E nemmeno di accorciarla. Il suo piano era di stabilirsi per tre stagioni in Bundesliga e poi volare verso la Premier League. Soltanto se Alex Ferguson si fosse ritirato un anno prima, anziché nella primavera del 2013, Guardiola avrebbe probabilmente preso subito la strada di Manchester, sulla sponda dello United. Nell’anno sabbatico a New York invece disse no al Manchester City, rappresentato dall’amico Begiristain e anche al Chelsea del generoso Roman Abramovich. «Wow, mi voleva il Bayern», ha rispiegato ieri, quando per la prima volta ha parlato in pubblico del suo addio, previsto per la prossima estate. «Il motivo è semplice, voglio andare ad allenare in Premier League. Non per soldi: ho voglia di nuove sfide, nuove emozioni, nuovi ristoranti, nuove città. Mi serve cambiare: sono stato anche due anni a Brescia ed è stato bello». Aperto e sincero, perché ha deciso che era il giorno di parlare chiaro.
CONVINTI Anche Karl-Heinz Rummenigge è stato di parola: sapeva di essere senza speranza, quindi ha cercato e trovato un sostituto all’altezza: Carlo Ancelotti. «Non sono nervoso, nè preoccupato: nessuno è insostituibile», diceva il dirigente in agosto. Il Bayern ha provato a convincere Pep per l’ultima volta in novembre, con tre offerte studiate da Hoeness e l’ex interista. Senza esito, come previsto. «Il Bayern vinceva con Heynckes, ha vinto con me, vincerà con Ancelotti», ha detto Pep, per tranquillizzare i tedeschi. Tutte le panzane uscite in questi giorni in Germania, dagli scontri sul mercato al non dialogo con i giocatori, dalla freddezza dei tifosi al conflitto con i medici del club, sono comprensibili soltanto perché dovevano riempire il vuoto delle vacanze natalizie, quando si usano di solito i riepiloghi annuali. Stavolta è arrivato il divorzio a cancellare le rievocazioni: non si tratta di tradimento, bensì di una scadenza, perché era un contratto, non un rapporto senza fine. Guardiola è un soggetto complesso, dubbioso, si macera alla ricerca della soluzione perfetta per qualsiasi aspetto. Si consuma internamente e deve rigenerarsi con il cambiamento. Fu così anche a Barcellona. Con il Bayern ha provato a se stesso che può lavorare e migliorare squadre e albo d’oro anche fuori dalla Catalogna: il triennio era il suo periodo stabilito per testarsi e ripartire, perché il tempo non aspetta: «Avessi avuto 60 anni, sarei rimasto fino a sentirmi dire che ne avevano abbastanza di me. Ma ne ho 44, sono giovane abbastanza, ho bisogno di altre situazioni, di rischi. Ho alcune offerte, non ho ancora firmato. Se non vinceremo la Champions il mio percorso qui verrà considerato incompleto, ma ringrazio il Bayern per il periodo stupendo. Non ero venuto per eguagliare Hitzfeld, Lattek o Heynckes. Come ha detto Thomas Müller, non importa chi è l’allenatore, ma che il club vinca».