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 2016  gennaio 07 Giovedì calendario

Sono in scadenza 184 miliardi di bond di Stato

Un anno di «discontinuità». Così il Tesoro italiano ha definito il 2016 appena iniziato sotto il profilo del debito pubblico e del suo rifinanziamento: non solo perché per la prima volta dopo 7 anni di crescita ininterrotta il rapporto debito/Pil dovrebbe tornare a ridursi, ma anche perché le stesse necessità di raccolta da parte dello Stato sono destinate ad alleggerirsi in misura significativa. Nelle linee guida pubblicate nelle scorse settimane, via XX settembre ha infatti sottolineato che durante i prossimi 12 mesi giungeranno a scadenza titoli di Stato a medio-lungo termine per 184,5 miliardi di euro (8 miliardi dal programma estero e 176 da quello domestico), ovvero circa 18 miliardi in meno rispetto al maturato del 2015.
Se poi si considera con anche le scadenze dei BoT per il 2016 saranno decisamente inferiori a quelle calcolate per i successivi 12 mesi negli stessi giorni di un anno fa (circa 115 miliardi rispetto a 125,5 miliardi), si può concludere che il totale complessivo da rifinanziare per il Tesoro potrebbe risultare inferiore di circa 30 miliardi rispetto all’ammontare del 2015. Ma non basta, perché sarà anche la riduzione del fabbisogno di cassa del settore statale (che la nota di aggiornamento al Def dello scorso settembre stimava al 2,4% del Pil contro il 4% del 2015), unita all’ampia liquidità disponibile in cassa a rendere più agevole il compito nei prossimi mesi.
Tenendo conto dei fattori appena elencati ed escludendo dal computo i BoT, gli analisti si attendono per il 2016 un ammontare di emissioni lorde attorno ai 225-230 miliardi di euro rispetto ai 247 miliardi del 2015: un dato del resto in linea con quanto avviene nel resto d’Europa, dove il quantitativo di nuova carta immessa sul mercato potrebbe ridursi a 850-860 miliardi da poco più di 900 miliardi. Anche per questo il Tesoro si concentrerà sul futuro, provando a estendere ulteriormente la vita media dello stock dei titoli di Stato italiani, cresciuta da 6,38 a 6,52 anni nel corso del 2015 e soprattutto ad alleviare il peso delle scadenze degli anni successivi.
Tecnicamente, il Mef ha già fatto sapere che ridimensionerà le emissioni di CTz (che si terranno adesso a mesi alternati), ridurrà il ricorso ai BTp a 3 e 5 anni e si limiterà a due collocamenti per il BTp Italia, in modo comunque da offrire ai risparmiatori retail la possibilità di reinvestire la liquidità proveniente dai titoli delle prime tre serie, che saranno rimborsati a marzo, giugno e e soprattutto ottobre (il maxi-collocamento da 18 miliardi). Attraverso specifiche operazioni di concambio e riacquisto (buy back) si proverà inoltre a ridurre la concentrazione di rimborsi previsti per il 2017.
Se sul profilo dell’allungamento medio della durata del debito italiano il Tesoro ha già messo le mani avanti spiegando che l’obiettivo sarà «difficile da raggiungere» nel 2016 proprio per il minor volume delle scadenze, ancora più complicato sarà comprimere ulteriormente il costo medio all’emissione. Lo 0,70% del 2015 (ennesimo record dopo l’1,35% dell’anno precedente) è infatti una diretta conseguenza del generale appiattimento dei rendimenti determinato anche e soprattutto dalle operazioni compiute dalla Banca centrale europea (Bce) nell’ambito del piano di riacquisti di titoli pubblici (Pspp).
Ma se è vero tali operazioni, che si protrarranno per l’intero 2016, sono destinate a mantenere particolarmente bassi i tassi sulle scadenze brevi, più incerto allo stato attuale rimane il destino dei titoli di durata maggiore, proprio quelli su cui si tende a spostare maggiormente l’attenzione. Su questi ultimi, oltre alle misure estremamente espansive targate Mario Draghi, potrebbe avere infatti un impatto di segno esattamente opposto anche il ciclo di rialzi dei tassi appena avviato dalla Federal Reserve americana. «L’asincronia nei cicli di politica monetaria tra le due sponde dell’Atlantico – per dirla con le parole dello stesso Ministero – renderà meno prevedibile l’andamento dei tassi sulle scadenze medio-lunghe».
Sarà in ogni caso una questione di costi, perché immaginare difficoltà da parte del mercato ad assorbire le emissioni italiane appare oggettivamente difficile. Non c’è soltanto la Bce con acquisti nell’ordine dei 6-7 miliardi ogni mese ad alimentare la domanda: la possibilità di spuntare ancora un minimo di rendimento positivo in un mondo di tassi-zero finisce per attirare gli investitori esteri, che difatti nei primi nove mesi del 2015 hanno in base ai dati pubblicati da Banca d’Italia incrementato di circa 47 miliardi di euro la propria esposizione sull’Italia portandola a 654 miliardi e al 35,2% del debito complessivo sul mercato.
In questo modo (e con il «contributo» dei 40 miliardi rastrellati dall’Eurotower) il Tesoro è stato in grado di assorbire tanto l’incremento del debito (65 miliardi nei primi nove mesi 2015) quanto il rallentamento degli acquisti da parte dei privati italiani (famiglie e imprese, 51 miliardi in meno dal gennaio dello scorso anno). Un ribilanciamento delle forze che potrebbe proseguire anche nel 2016.