il Giornale, 7 gennaio 2016
Non era meglio la Guerra Fredda?
La dissoluzione dell’Unione Sovietica, la fine del bipolarismo Usa-Urss – che garantiva un minimo di stabilità e di sicurezza attraverso l’equilibrio del terrore – la decadenza degli Stati Uniti come potenza mondiale egemone hanno mutato la natura del sistema internazionale che ora ruota attorno a un caso interno al mondo islamico – sunniti contro sciiti – che condiziona i comportamenti delle altre potenze. È, infatti, il caso sunniti-sciiti che genera e alimenta il terrorismo col quale deve poi fare i conti il mondo democratico-liberale e capitalista. In tale contesto, la decadenza della leadership americana, con la presidenza di Obama, non propriamente un leader di profilo mondiale, conferma l’importanza di un fattore decisivo dell’equilibrio internazionale: che tale equilibrio dipende dalla capacità di imporre la propria leadership da parte di una potenza globale. Un mondo pluralista genera solo un guazzabuglio di potenze minori in competizione fra loro che finisce col pregiudicare anche la stabilità dell’intero sistema. Al posto della leadership americana, ora c’è la risorgenza di una vocazione russa a un ruolo mondiale. Putin si sta rivelando un leader capace e, ormai, decisivo nella gestione della crisi interna al mondo islamico e dei suoi riflessi su quello al quale ormai appartiene a pieno titolo la stessa Russia dopo la crisi del comunismo e la dissoluzione dell’Urss. Che piaccia o no, c’è stata una regressione al mondo ottocentesco, quando il sistema mondiale dipendeva dalle rivalità fra la Gran Bretagna, dominatrice dei mari, la Francia, decisiva per gli equilibri europei e la Russia che, alleandosi con l’una o con l’altra, ne determinava il successo.
Mutato il quadro internazionale, è del tutto inutile che si pensi di sanare il conflitto fra sciiti e sunniti e di porre fine al terrorismo intervenendo nel mondo islamico con la forza. È la dimostrazione che – se gli Usa non utilizzano la propria capacità di leadership come accadeva in passato – la stabilità del sistema non regge e la nostra stessa sicurezza dipende da un fattore esterno al nostro mondo. Con la sconfitta dei dittatori – Assad, Gheddafi e qualcun altro minore, che assicuravano un certo equilibrio in Medio Oriente – nell’area si è prodotta una frammentazione del mondo islamico che alimenta ogni genere di crisi e lo stesso terrorismo come presupposto della propria stessa esistenza. Occorre dire che, fortunatamente, il ritorno della Russia, dopo la dissoluzione dell’Urss, sulla scena mondiale pare garantire quel tanto di mediazione necessaria a mantenere la pace e la stabilità.
Insomma, possiamo dirci fortunati per il rientro della Russia come fattore di equilibrio, in un mondo che ricorda sempre più quello che nell’Ottocento aveva preparato le condizioni sia della prima, sia della seconda guerra mondiale, ma aveva altresì garantito all’Europa un lungo periodo di pace e di (relativa) stabilità. Certo, non era stato neppure un periodo pacifico per il continente, ma almeno le sue possibilità di degenerare in un conflitto mondiale – pur presenti – erano state presenti grazie agli equilibri fra le grandi potenze. Il paradosso è che, ora, a cercare di garantire la pace e la stabilità sia il presidente russo, non quello americano, insicuro e perennemente alla ricerca di un punto di equilibrio nel quale collocare il suo stesso Paese, secondo una logica ottocentesca – la contrapposizione fra una pluralità di potenze mondiali aspiranti alla leadership europea e mondiale – che riflette, in modo efficace, l’equilibrio del terrore nucleare bipolare novecentesco. Il sistema internazionale è in regressione. A riprova che, tutto sommato, con un pizzico di ottimistica immaginazione, si può dire che si stava meglio quando si stava peggio.