ItaliaOggi, 7 gennaio 2016
«Filetto Ferrari», «arrosto Cnh», «lesso Fca». Il menù di Marchionne
In questi ultimi anni Sergio Marchionne ha sempre iniziato l’anno con un botto, quello 2016 era previsto, programmato fin nei minimi particolari. Oggi nessuna analisi sul business dell’auto, su Ferrari, Fca, Gm, Vw, lasciamo decantare lo spin off Ferrari, dare una tregua all’uomo: è parso affaticato, di cattivo umore.
Pur essendo stucchevoli fino alla noia, resto un appassionato delle conferenze stampa in genere, di quelle di Marchionne in particolare. Grazie a età e storia mi diverto ad anticipare le domande dei colleghi e ovviamente le sue risposte. E pure quelle della stampa anglosassone, sempre le stesse, alle quali ha già risposto in passato. Ben fa Sky a non tradurle neppure, l’inglese dà loro un’aurea che in italiano mai avrebbero.
Mi concentro su quella che chiamo e studio «antropologia della spavalderia nel ceo-capitalism». Vi primeggiano le felpe californiane ma il virus si sta diffondendo, per noi dei media sarà dura. Nei primi anni del suo lunghissimo consolato si percepiva la ritrosia dell’ex controller (quelli al top sono avvolti da profonda tristezza, i numeri condizionano la loro vita, li prostrano), giornalisti e analisti prendevano sempre più confidenza, diventavano aggressivi, non capivano che, sotto il personaggio riservato, c’era un uomo d’acciaio. Fu l’epopea di «Fabbrica Italia», di «American Dream» di Marco Cobianchi, libro incomprensibilmente sottovalutato (il «Quo Vado» di Fiat-Chrysler), allora Marchionne ridefinì la sua strategia comunicazionale.
Di fronte agli insuccessi dei Piani che si succedevano (Marco ne contò otto), buttò alle ortiche il suo abito da supermanager, indossò quello del «deal maker» (il sogno di ogni manager, il profilo che più ti avvicina a Dio).
Cosa differenzia i due profili, «manager» e «deal maker»? La diversa interpretazione del termine «Piano Strategico». Il documento che partendo da una «business idea» riassume le linee strategiche prodotto-mercato, e i risultati economici finanziari per i successivi 4-5 anni. I manager romantici d’un tempo lo chiamavano «la mia Bibbia», per intendere che lo sposavano al punto da identificarsi in esso (modello mitico: Michele Ferrero), per i «deal maker» è un taxi, dal quale salire o scendere, anche con il veicolo in movimento.
I colleghi presenti in conferenza stampa percepiscono subito che l’uomo è teso, si succedono domande sempre più banali, ci si avvia alla fine, quando il pierino di turno gli chiede di spiegare cosa succederà al Piano strategico 2014-2018 (licenziato nel maggio 2014, base per la quotazione di Fca a Wall Street), stante l’impatto negativo dei «ritardi Alfa Romeo», del duo Brasile-Cina, se intende cambiarne le prospettive. Un Ceo convenzionale avrebbe sorriso, risposto sereno che il Piano non poteva prevedere il crollo del mercato brasiliano e cinese ma, di contro, i mercati Usa e Europa ora al top erano stati sottostimati, per cui ci sarebbe stata compensazione, così sull’Alfa, bla, bla, bla.
Un «deal maker», come ovvio, non può accettare questo approccio meschino dei media (come i politici di nuovo conio non accettano che i numeri reali siano diversi da quelli da loro programmati). Dopo una filippica contro i giornalisti (minacciando di farsi lui stesso giornalista con licenza di uccidere), spiega che per lui il Piano è flessibile, contano i dati finanziari.
Traduco: se il Piano «A» non lo supporta, ha pronto il «B», certo è uguale a «A» ma sposta in là nel tempo gli obiettivi.
Bene ha fatto Marchionne a irritarsi con questi gufi della stampa italiana (si sussurra che lunedì prossimo a Detroit saranno loro assegnati appena 15 minuti) che non hanno ancora capito che la parola chiave del ceo-capitalism è: consolidamento (termine politicamente corretto per intendere vendita al meglio o fusione forzata). Si attengano ad esso!
Se anziché aver scelto di vivere negli «interstizi» partecipassi anch’io alle conferenze stampa dei grandi leader avrei detto: «Dottor Marchionne, tempo fa, rispondendo alla domanda di un collega che commentava un mio libro, dissi che Fiat Auto, nel febbraio 2009, era tecnicamente fallita, indicavo come unica strategia lo «spezzatino», e per questo lei il miglior Ceo su piazza.
Complimenti per aver completato questa difficilissima missione: finalmente abbiamo il «filetto Ferrari», «l’arrosto Cnh», «il lesso Fca», pronti per l’utilizzo. Un solo chiarimento, il consolidamento lo farà lei o John Elkann?»