il Fatto Quotidiano, 7 gennaio 2016
A Berlino d’inverno fa freddo. Se n’è accorta anche la Lucarelli
Sono uno dei tanti italiani carichi di ottimismo che hanno deciso di trascorrere i primi giorni dell’anno a Berlino. Specifico “carichi di ottimismo” perché per decidere di andare a Berlino a più di due giorni di distanza dal solstizio d’estate, bisogna essere una di quelle persone convinte che il copri-occhiaie risolva il problema delle occhiaie e il Jobs act risolva il problema della disoccupazione.
Vado dunque brevemente a spiegarvi cosa vuol dire “fa freddo” a Berlino. La cosa funziona così.
La cosa funziona così. Tu decidi di andare a Berlino a gennaio e qualcuno che c’è stato tenta generosamente di avvertirti: “Guarda che fa freddissimo!”. Tu ascolti senza troppa attenzione pensando che sia il solito tentativo di terrorismo psicologico come quando annunci che aspetti un figlio o che vai a vedere un film di Checco Zalone. E ora passiamo alla fase autobiografica.
Assiderare sognando un paradiso caldissimo
Il primo gennaio esco dalla porta girevole dell’hotel in cui alloggio e quando sono fuori sento chiaramente, distintamente, inequivocabilmente un freddo porco. Mi guardo intorno. Vedo la gente vestita come se ci fosse un allarme pandemia in Germania. Sciarpe che fanno sedici giri intorno alla bocca, cappelli con copri-orecchie che se te li regala tuo zio a Natale lo insulti fino alla Befana, guanti da sci di fondo, gente che stringe bevande calde come se fossero antidoti al morso di cobra che hanno ancora attaccato alla caviglia e le facce dei turisti, soprattutto italiani. Facce di gente convinta che Berlino sarà l’ultimo posto che vedrà prima di riunirsi al creatore in un paradiso caldissimo. Comunque.
Decido che fa molto freddo ma anche che se la Germania fa 80 milioni di abitanti che non sono solo alci, e che se nelle aiuole c’è vegetazione più evoluta dei licheni, la sopravvivenza è possibile. E poi c’è gente che è sopravvissuta al Capodanno di Gigi D’Alessio a Bari che è una condizione molto più estrema, non devo dimenticarlo.
Deambulo in direzione della mia meta che nel frattempo ho dimenticato perché mi si è congelata la parte del cervello che regola la memoria a breve termine e qualcuno c’ha parcheggiato una slitta. A quel punto, l’altra vittima che si trascina al mio fianco balbetta qualcosa tipo “…burgo!”. Rispondo: “Sì, infiliamoci da qualche parte a mangiare un hamburger ora!” anche se ho appena fatto colazione coi crauti in hotel, al che l’altra vittima specifica: “La porta di Brandeburgo!”. Allora guardo dritto e spero solo che questa porta di Brandeburgo si chiuda bene e non ci siano spifferi, e invece no, sono solo colonne. Io e il mio accompagnatore ci guardiamo come Jack e Rose in acqua dopo che è affondato il Titanic, anche perché l’iPhone segna -11 gradi. Reagisco. Mi sfilo il guanto e faccio un paio di scatti col telefono. Tre secondi dopo sento distintamente il dito indice e il medio che si affrancano dal mio corpo e decidono di condurre una vita propria lontana da me come due figli in partenza per l’Erasmus.
Salvati da H&M e dai Minions
Bisogna entrare subito da H&M per comprare degli accessori utili alla sopravvivenza. Il settore accessori è preso d’assalto da turisti che versano in vari stadi di ipotermia. C’è la spagnola che lacrima stalattiti di ghiaccio e il romano che dice “’Sto freddo manco a Roma-Bayern l’ho sentito, li mortacci vostra!”. Comunque, afferro quello che è sopravvissuto alla razzia e assolvo mentalmente tutti i barbari germanici, Goti compresi, per aver raso al suolo mezza Europa perché sicuramente erano solo in cerca di un Moncler. Mi infilo, appunto, quello che è sopravvissuto che è, nello specifico, un cappello giallo con pon pon dei Minions, una sciarpa azzurra con la “S” di Superman, dei guanti di lana rossi con motivi natalizi e un poncho sempre utile nel caso si decida di abbandonare la propria vita borghese, infilarsi un acchiappasogni piumato al collo e unirsi agli Inti Illimani. A quel punto mi convinco che il freddo di Berlino non sarà più un problema.
Esco dalla porta di H&M e realizzo che in effetti il freddo porco non lo sento più. E non lo sento nell’accezione letterale e acustica della faccenda perché nel frattempo il cappello dei Minions ha lasciato scoperto un orecchio dentro il quale s’è infilata una raffica che deve essere la coda di qualche uragano in Lapponia e il mio orecchio si sta staccando verticalmente dal mio corpo, come le pendici di Stromboli in mare durante il terremoto. Mi sistemo il cappello. Poi insulto la Merkel e urlo che non è la Grecia ma la Germania a dover uscire dall’Europa per unirsi più coerentemente al Circolo polare artico. Insulto la Schiffer, Volkswagen, Goethe, Beckenbauer, le Birkenstock e tutto quello che mi viene in mente di tedesco. Poi offendo la Polonia perché confina con la Germania e di confine in confine estendo gli insulti pure al sovrano della Tasmania.
Poi dico al tizio che mi si trascina accanto: “Bene, Berlino l’abbiamo vista, ora ci infiliamo in qualche caffè?”. Il tizio mi fa notare timidamente che di Berlino abbiamo visto la porta di Brandeburgo e il settore accessori di H&M, al che io replico piccata: “Beh non faremo mica gli italiani medi che devono fare quello che dice la Lonely Planet?”.
Non era meglio il Marocco?
Ci infiliamo in un caffè al cui interno ci sono quelli che Salvini definirebbe “profughi termici”, ovvero migliaia di stranieri che chiedono asilo a baristi tedeschi per fuggire dal gelo. Ci si guarda solidali. Si pensa alle famiglie a casa a cui saranno restituite le nostre spoglie in un camioncino Algida. Si pensa che la nuova guerra fredda è quella per accaparrarsi una sciarpa a Berlino. Si pensa ai tg italiani che dicono “freddo record” a Roma e il freddo record sono due stalattiti che pendono da una grondaia e un pupazzo di neve in piazza Navona. Si pensa, soprattutto, a quegli attimi dell’esistenza che possono cambiare il proprio destino. Quello, per esempio, in cui il tizio che si trascina accanto a me quindici giorni fa mi domandò: “Che ne dici di Marrakech?” e io risposi incauta: “Preferisco Berlino!”. Ecco. Date retta a me. Preferite Berlino, ma da giugno a settembre. E se qualche vostro conoscente o parente parte per Berlino d’inverno, abbracciatelo forte prima che sparisca dal vostro orizzonte, perché potreste rivederlo sì, ma al mercato del pesce venduto in tranci come il caro vecchio Fantozzi dopo un tentativo di discesa dalla nera. Auf Wiedersehen!