il Fatto Quotidiano, 7 gennaio 2016
Qualcosa è cambiato nella dinastia dei Saud
Nell’aprile scorso, tre mesi dopo essere salito al trono, il settantacinquenne re Salman bin Abdulaziz Saud ha realizzato una sorta di colpo di Stato interno alla sterminata famiglia reale che governa, tra cospirazioni di palazzo e omicidi, l’Arabia Saudita dal 1932. Rimuovendo dal ruolo di principe ereditario il fratellastro, Muqrin bin Abdulaziz per sostituirlo con il nipote, l’attuale ministro dell’interno Mohammed bin Nayef, figlio del defunto fratello di sangue Nayef, e, soprattutto, designando uno dei suoi figli, il trentenne Mohammed bin Salman, secondo nella linea di successione al trono nonché ministro della Difesa, re Salman ha concentrato tutto il potere nelle mani di un ramo della dinastia Saud.
Inoltre ha esautorato Al Feisal dal ministero degli Esteri, che reggeva dal 1975 ed era uno storico alleato degli Usa, sostituendolo con Adel al Juber, un tecnico, non appartenente alla casa regnante, ex ambasciatore a Washington. Così facendo, l’attuale monarca ha accelerato la transizione verso la terza nuova generazione di principi e assicurato, a meno di cataclismi politici a causa di guerre intestine ed esterne, la propria linea di discendenza per i prossimi decenni.
Il decreto che ha annunciato questi cambiamenti è stato approvato dal Consiglio di fedeltà, un comitato composto dai rappresentanti delle famiglie di ognuno dei figli di re Abdulaziz ibn Saud, che fondò il regno dandogli il nome. Ma ciò non significa che tutti i Saud (centinaia di principi membri della corte) si siano arresi a questo nuovo corso. Ciò che desta le maggiori preoccupazioni tra gli osservatori internazionali è la capacità di sopravvivenza degli equilibri politici che ruotano attorno ai diversi cerchi concentrici del potere saudita: la corona, la famiglia reale, le istituzioni e l’apparato amministrativo.
Iran, Yemen e Isis, le crisi arabe in corso
Per comprendere l’entità della “rivoluzione” di Salman, innanzitutto va sottolineato che l’Arabia Saudita è una monarchia assoluta basata su una legge di successione di tipo orizzontale, da fratello a fratello, compresi i fratellastri, in ordine di anzianità. Finora i re sauditi sono stati tutti figli del fondatore del regno e delle sue mogli. Il predecessore dell’attuale re, Abdullah morto nel gennaio dello scorso anno, negli ultimi tempi era preoccupato di mantenere coesa l’identità saudita sempre più eterogenea e articolata e per questo vedeva di buon occhio il ritorno sul trono di uno dei “sette Sudairi”, dei quali lui non faceva parte. Si tratta del gruppo composto dai 7 fratelli di sangue della famiglia reale, ai quali appartiene Salman, che condividono lo stesso padre, re Abdulaziz, e la stessa madre, Hassa bint Ahmed Al Sudairi, la favorita del fondatore sposata due volte. Re Salman ha quindi potuto procedere secondo i propri intenti articolati sulle emergenze che si stavano profilando all’orizzonte. La sostituzione dei ministri degli Esteri e della Difesa e la nomina di un tecnico non appartenente alla famiglia reale sono misure straordinarie che dovrebbero aiutarlo a far fronte al deterioramento dei rapporti con gli Usa per via del loro accordo sul nucleare con l’Iran, il nemico numero uno di Ryad. Gli iraniani hanno sempre sostenuto che la famiglia Saud non fosse degna di custodire i luoghi santi (Mecca e Medina) e, più ancora, di gestire le rendite assicurate dai pellegrinaggi e dalle donazioni dei fedeli che rappresentano la seconda fonte di introito dell’Arabia Saudita.
La seconda emergenza è rappresentata dalla guerra yemenita. Il punto è che l’Arabia Saudita, che è il primo acquirente di armi al mondo, non ha un vero e proprio esercito: le forze armate sono composte da circa 150 mila uomini, per oltre il 90% mercenari stranieri. Ma non sembra che il figlio Mohammed bin Salman, il più giovane ministro della Difesa al mondo, sia in grado di costruire un esercito in grado di sconfiggere i ribelli sciiti dello Yemen, finanziati da Teheran.
La terza crisi è quella che si è aperta con la nascita dello Stato islamico del califfo nero Al Baghdadi. Pur condividendo la stessa visione dell’islam, quella wahabita, la più oscurantista, i tagliagole dell’Isis ritengono i Saud – che avevano sdoganato questa eresia islamica già nella seconda metà del 1700, quando ancora non esisteva il regno ma i loro antenati già combattevano per prendere il potere dell’area chiamata Diriyad – degli usurpatori e infedeli che si sono lasciati irretire dai “crociati” statunitensi ed europei pur di fare affari, concedendo loro di costruire addirittura basi militari sul proprio territorio e in Bahrein, di fatto sottomesso ai Saud. I figli dei vari re che si sono seduti sul “trono di spade” e le principesse hanno quasi tutti studiato negli Usa e posseggono proprietà immense e attici faraonici nelle capitali occidentali. La loro vita è sfarzosa e si muovono tra aerei privati e le macchine più lussuose. Il giovane Mohammed bin Salman pare sia un grande esperto di motori più che di tattiche e strategie militari. Anche se recentemente ha incontrato il presidente russo Putin, alleato dell’Iran e del regime siriano, mostrando che la “nuova” Arabia Saudita è in grado di stringere rapporti altrettanto nuovi o di consolidarli, non solo con Israele e la Turchia in chiave anti iraniana, il suo acume politico è ancora molto acerbo e intriso di arroganza.
“Coca, alcool e escort”, guerra a colpi di cablo
L’altro rampollo di punta della terza generazione è il principe cinquantenne Mohammad bin Nayef, figlio del defunto “Sudairi” Nayef bin Abdulaziz Al Saud e oggi ministro dell’Interno. È considerato un conservatore ed è nota la sua posizione alquanto radicale sui temi di sicurezza interna ed esterna. Con il cugino Mohammed è il fautore della linea dura. È un uomo scaltro e senza remore, nel 2012 ha ordito una congiura contro il principe Ahmed bin Abdulazizh, un moderato nonché uno dei pochissimi difensori degli intellettuali liberali del paese. In un cablo di Wikileaks del 2010 si poteva leggere un dispaccio risalente al 2009, inviato dal console americano a Gedda Martin Quinn a diverse sedi diplomatiche statunitensi, al Dipartimento di Stato e alla Cia. Conteneva un ampio resoconto delle feste private a base di cocaina, alcol e prostitute nella residenza del principe Faisal al Thunayan che, “pur non essendo candidato al trono, ha in dotazione una casa, un’auto di lusso, un vitalizio, un’equipe per la sicurezza personale che riesce a tener lontana la polizia religiosa”.