La Stampa, 7 gennaio 2016
L’Iran arma le province sciite dell’Arabia Saudita
L’Iran punta a passare attraverso il Bahrein, «anello debole» dell’alleanza sunnita nel Golfo, per penetrare nelle province orientali dell’Arabia Saudita, dove ci sono i più importanti giacimenti petroliferi del mondo, e destabilizzarle. È quanto temono fonti diplomatiche occidentali nella regione. I rapporti delle forze di sicurezza locali e d’intelligence parlano di un intenso flusso di «armi, esplosivi ad alto potenziale» provenienti dall’Iran intercettati in Bahrein, in alcuni casi sicuramente diretti verso l’Arabia Saudita. A che cosa dovessero servire tutte queste armi non è stato accertato. Analisti del Golfo parlano di un disegno iraniano per «staccare l’Eastern Province dall’Arabia Saudita» e creare un «Grande Bahrein» dominato dagli sciiti e alleato di Teheran.
«Addestrati dai Pasdaran»
Dietro la rottura diplomatica fra alleati di Riad e l’Iran non c’è solo l’esecuzione dell’imam sciita Nimr al Nimr. Per Manama la decisione era «praticamente obbligata» commentano le fonti diplomatiche. Ed è soprattutto legata a una serie impressionante di sequestri di depositi o di navi cariche di armi e materiale per fabbricare bombe. Dal 2012 ce ne sono stati dieci di grandi dimensioni. L’ultimo ritrovamento è avvenuto a ottobre. Il 28 giugno 2015 nel villaggio di Tubli, a sud della capitale, sono state scoperte 1,5 tonnellate di esplosivo, e un laboratorio per realizzare Ied (ordigni esplosivi improvvisati) sofisticati. In un caso sono stati trovati 98 chili di C4. Nel maggio del 2015 ne sono stati intercettati altri 38 chili in un’auto sulla causeway che porta in Arabia Saudita. In altri casi sono state fermate barche provenienti dall’Iran, e dall’Iraq, con granate di fabbricazione iraniana e uomini addestrati, secondo le forze di sicurezza locali, «dalle guardie rivoluzionarie» di Teheran.
Per le fonti diplomatiche l’ala dura del potere iraniano ha tutto l’interesse che il Bahrein sia una «pentola in continua ebollizione» in modo da indebolire il rivale saudita nel suo fianco più esposto. Le forniture belliche, però, non sono di sicuro servite ad armare la protesta sciita nel Paese, rimasta sostanzialmente pacifica. E allora? Un’ipotesi è che la destinazione finale fosse lo Yemen, ma la logistica troppo complicata porta a escluderlo. Analisti della regione, come Riad Kahwaji, dell’Inegma di Doha, sono convinti che il disegno sia «staccare l’Eastern Province dall’Arabia Saudita», armando pesantemente la ribellione interna, e creare sulla sponda araba del Golfo un nuovo Stato, dominato dagli sciiti.
Il «regno» del petrolio
La provincia dell’Est, Al Sharqiyya in arabo, è la più estesa del regno saudita e i suoi quattro milioni di abitanti sono in maggioranza sciiti. Ma soprattutto è da lì che arriva l’80% del petrolio saudita. In questo senso la città più importante è Al Qatif, proprio dove è nato l’imam Nimr al Nimr, la cui esecuzione, sabato scorso, ha innescato la gravissima crisi attuale. Attorno alla quale ci sono movimenti diplomatici imponenti. L’Iraq ieri ha offerto agli iraniani di mediare con i sauditi. È stato il ministro degli Esteri Ibrahim Jaafari in visita a Teheran a ribadire che «relazioni cordiali fra Iran e Arabia sono a beneficio di tutta la regione». Facendo in parte il gioco di Teheran che ha ribadito il suo impegno a perseguire i responsabili degli assalti alle sedi diplomatiche saudite. Il Qatar per tutto contro ha richiamato il suo ambasciatore dall’Iran.
Al Qatif è il più grande hub petrolifero al mondo, con 12 oleodotti che si incrociano e si diramano verso i giganteschi terminal petroliferi del Golfo, come Ras Tanura e Dhahran. «Al Qatif è la Grand Central Station mondiale del greggio», ribadisce Ali Alahmed, dell’Institute for Gulf Affairs di Washington. La sua perdita sarebbe il «colpo mortale» alla monarchia saudita. Ma Alahmed è scettico sui disegni di secessione: «Nemmeno Al Nimr predicava o sognava il distacco dell’Eastern Province dall’Arabia Saudita. La sua esecuzione non è stata un atto difensivo ma il tentativo di svicolare dai veri problemi di Riad: nello Yemen spende 200 milioni di dollari al giorno e la guerra va male, il petrolio sotto i 40 dollari ha costretto il governo ad aumentare le tasse, in Siria e in Iraq i suoi alleati sunniti sono in difficoltà. L’Iran è caduto nella provocazione. Ha commesso un grave errore con l’assalto all’ambasciata, e ora sulla sponda araba del Golfo sono saltati tutti gli equilibri».
La fascia di terra che si estende da Bassora, in Iraq, alla penisola di Musandam, nell’Oman, storicamente era conosciuta tutta come Bahrein, cioè «fra due mari» in arabo. Le città sulla costa, da millenni via di commercio fra India ed Europa, erano dominate dai sunniti, mentre nell’interno si sviluppavano e si rifugiavano le correnti più “rivoluzionarie” dell’Islam. La presenza sciita è considerevole in Kuwait (35%) e preponderante in Bahrein (65%). Nel 2011 ha scatenato polemiche una cartina pubblicata sul sito Internet «Iran Defence» che includeva la penisola, assieme al Bahrein, nel Grande Iran. Soltanto 65 chilometri la separano dalla sponda iraniana del Golfo.