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 2016  gennaio 07 Giovedì calendario

Proposta per l’obbligo di una «patente finanziaria» per ogni cittadino

La tutela del risparmio di cui tanto si parla ha bisogno di due cose. Da un lato sono necessari controlli e regole sul comportamento delle banche e dei gestori di fondi, comprese severe punizioni per chi viola quelle norme. Dall’altro serve una maggiore educazione finanziaria del risparmiatore e del cittadino. Gli importanti lavori di ricerca in merito di una economista italiana, Annamaria Lusardi, come ricordava Federico Fubini su questo giornale il 20 dicembre scorso, dimostrano che, non solo in Italia ma anche in molti altri Paesi europei, oltre che negli Stati Uniti, il livello di diseducazione finanziaria è strabiliante.
Molti risparmiatori italiani, anche con livelli di istruzione elevati, non sanno rispondere correttamente a domande semplicissime. Arrivano a sbagliare l’ordine di grandezza di quanto un investimento di 100 euro renderebbe in 20 anni a un tasso del due per cento. Spesso non capiscono l’importanza della diversificazione del rischio; non si rendono conto cioè che investire in una singola azione è molto più pericoloso che investire in un fondo comune. Non comprendono bene lo scambio tra rischio e rendimento. Vale a dire che se qualcuno promette loro rendimenti elevati senza rischi, ebbene sta mentendo. Infine pochi realizzano che investire in un prodotto del quale fanno fatica a comprendere la natura e la reale composizione non è mai una buona idea.

Non solo, molti cittadini (soprattutto gli uomini, meno le donne) pensano di avere una sufficiente conoscenza di economia e finanza, ovvero non si rendono conto di cosa non capiscono. Il sapere di non sapere è invece il primo passo verso l’apprendimento. La diseducazione finanziaria può avere effetti disastrosi per i risparmiatori e, se generalizzata, può avere conseguenze macroeconomiche gravi. Che fare?
Ecco un’idea. Chiunque apra un conto in banca (o ne abbia già uno) dovrebbe disporre anche di una «patente finanziaria». Dovrebbe cioè superare un esame tipo quello di teoria che si sostiene nel caso della patente auto. Un esame con una cinquantina di domande alle quali rispondere con esattezza. La licenza garantirebbe che chi è «idoneo» è a conoscenza di poche ma importanti cose: che un rendimento alto senza rischio non esiste, che il tasso di interesse reale è molto diverso da quello nominale, che mettere tutte le uova in un paniere è pericolosissimo, come pure decidere se indebitarsi a un tasso fisso o variabile quando si compra una casa richiede un’attenta valutazione della situazione economica propria e generale.
Questa sorta di «patente finanziaria» dovrebbe prevedere anche un rinnovo a distanza di una decina d’anni. In ogni caso si dovrebbe insegnare un minimo di economia e finanza di base nelle scuole superiori. Nei licei, che ambiscono a rappresentare il meglio dell’istruzione, accade invece che economia e finanza siano ignorate, quasi fossero materie «indegne» rispetto al latino o alla filosofia.
Ma nell’attesa che i programmi scolastici cambino e con questi l’istruzione delle generazioni future, la «patente finanziaria» è un primo passo, relativamente facile, verso la consapevolezza finanziaria. In fondo, per guidare un’auto e garantire la sicurezza di chi guida e degli altri cittadini, viene richiesta una patente. Ottenerla non significa diventare un pilota di Formula 1, bastano le basi. Lo stesso valga per l’educazione finanziaria: basterebbe sapere poche cose necessarie. Non aspettiamoci che tutti i risparmiatori siano dei Warren Buffett così come tutti gli automobilisti non sono Sebastian Vettel.