La Stampa, 7 gennaio 2016
La bomba H e la svalutazione dello yuan fanno crollare le Borse. La Banca mondiale vede poca crescita nell’economia globale
La Banca mondiale taglia le stime di crescita della Cina e degli Stati Uniti nel 2016: il prodotto lordo di Pechino farà +6,7% a fronte del +7% stimato in precedenza, e quello degli Usa +2,7% anziché +2,8%. Frenerà anche tutta l’economia globale: +2,9% invece di +3,3%. Spiega la World Bank che «il simultaneo rallentamento dei quattro maggiori Paesi emergenti – Brasile, Russia, Cina e Sud Africa – pone dei rischi di contagio per tutti. L’economia globale deve adattarsi a un nuovo periodo di crescita modesta nei mercati emergenti, caratterizzata dai più bassi prezzi delle materie prime e da ridotti flussi di scambi commerciali e di capitali». Quanto alla crescita dell’Eurozona, dice la Banca mondiale, «continua ma è fragile».
Ieri le Borse europee sono state spinte al ribasso dalla bomba H della Corea del Nord. La Cina ha svalutato lo yuan con beneficio di Shanghai (+2,25%) e Shenzen (+2,61%) mentre hanno perso terreno Milano (-2,67%), Parigi (-1,26%), Londra (-1,16%) e Francoforte (-0,93%).
Con la svalutazione di ieri Pechino sembra confermare l’incapacità di affrontare i problemi di base della sua economia. Certo le prospettive di esportazione delle aziende cinesi migliorano un po’ e questo giustifica la lieve ripresa dei mercati azionari locali. Ma molti economisti occidentali sostengono che la Cina dovrebbe fare ben altro, cioè abbandonare certe pretese dirigiste in economia, accettare l’inevitabilità dello sgonfiarsi della bolla immobiliare e di quella azionaria, dare più spazio al mercato e rilanciare i consumi interni. Forse a Pechino sono d’accordo in teoria con questa ricetta ma il passaggio alla pratica viene sempre rimandato «all’era del mai e al giorno del poi». Si temono esplosioni sociali nel difficile trapasso e allora si preferisce tirare avanti mettendo pezze estemporanee alla crisi.
Un altro fattore negativo per l’economia globale (e per quella europea in particolare) è il petrolio sceso al di sotto dei 34 dollari al barile. Il capo-economista della Bce, Peter Praet, ha commentato così: «Se il prezzo del petrolio e delle materie prime crolla, sarà più difficile far risalire l’inflazione nell’Eurozona al 2%», che è l’obiettivo del presidente Mario Draghi. Ma la Bce è ben decisa: «Non c’è un piano B per riportare l’inflazione vicino all’obiettivo. C’è solo un piano. Se si stampa abbastanza denaro, si ottiene sempre inflazione. Sempre». È una presa di posizione forte: la politica della Bce di combattere la deflazione e (con questo mezzo) la stasi economica non è condivisa da tutti. In particolare i tedeschi sono ostili, per ragioni pratiche ma anche ideologiche. Il capo-economista della Banca centrale europea dice che si andrà fino in fondo.