Corriere della Sera, 7 gennaio 2016
Schengen non sta funzionando, dice la Germania. In Europa si litiga su cosa fare
«Siamo d’accordo sul fatto che Schengen e il libero movimento debbano essere salvaguardati, sia per i cittadini, sia per l’economia. Misure eccezionali sono state prese e abbiamo concordato di mantenerle al minimo necessario, per tornare alla normalità il prima possibile». Il resoconto del commissario all’Immigrazione Dimitris Avramopoulos, al termine dell’incontro d’urgenza con i rappresentanti di Svezia, Danimarca e Germania dopo la decisione di Stoccolma di reintrodurre i controlli al confine con Copenaghen, che a cascata li ha ripristinati con la Germania, mostra lo stallo della politica europea per fronteggiare l’emergenza immigrazione.
Tutti concordano sull’importanza di Schengen, ma è il segretario di Stato tedesco all’Immigrazione, Ole Schröder ad andare dritto al problema: la Ue non ha un efficace sistema di controllo delle frontiere esterne, in particolare tra Grecia e Turchia, e il sistema del ricollocamento dei richiedenti asilo «non sta funzionando». I numeri gli danno ragione: secondo gli ultimi dati, solo 272 rifugiati sono stati ricollocati da Italia (190) e Grecia (82) su un totale di 160 mila previsto dal piano di Bruxelles. «Sino a quando non avremo una soluzione europea – ha concluso Schröder – saranno necessarie misure da parte dei singoli Stati membri». La Svezia ha dovuto affrontare solo in autunno un’ondata senza precedenti: negli ultimi quattro mesi ha aperto le porte a 115 mila richiedenti asilo. Il ministro della Giustizia e dell’Immigrazione svedese Morgan Johansson ha spiegato che i controlli ai confini imposti a novembre e la verifica dei documenti dalla mezzanotte di domenica sono «necessari per controllare la situazione, cominciamo ad avere problemi nella gestione dei flussi, per questo è necessaria una politica europea di condivisione delle responsabilità». Ma così si crea un effetto domino e la Danimarca «non vuole essere la destinazione finale per migliaia e migliaia di richiedenti asilo» ha detto in modo inequivocabile la ministra all’Immigrazione e integrazione danese Inger Stojberg: servono «soluzioni europee». Le chiedono i Paesi del nord Europa dove i rifugiati vogliono fare domanda di asilo, le chiedono i Paesi del sud, con Italia e Grecia in testa, dove i migranti approdano al termine di viaggi tragici. Ma la situazione non si sblocca. «I flussi devono essere rallentati. L’unica via sono le soluzioni europee con tutti i 28 Stati membri», ha ribadito Avramopoulos in conferenza stampa e al termine ha ripetuto le linee da seguire: «Difendere meglio i confini dell’Europa, far funzionare il ricollocamento dei rifugiati, rispettare le regole». Ovvero identificare i migranti che arrivano. Ma anche su questo i dati non sono confortanti. Dei sei hotspot previsti in Italia quelli attivi sono due, Lampedusa e Trapani, mentre dei cinque previsti in Grecia uno solo è operativo, ha elencato Tove Ernst, una dei portavoce della Commissione Ue per l’Immigrazione.
La riunione d’urgenza si è conclusa in un reciproco impegno di collaborazione, ma resta il fatto che uno dei pilastri fondamentali dell’Unione Europea, la libera circolazione delle persone, stia subendo duri attacchi. Tutti ribadiscono l’eccezionalità delle misure e la temporaneità. Ma intanto in sei Paesi sono sospese le regole di Schengen: la Norvegia, che non fa parte della Ue, la Svezia, la Danimarca, l’Austria, la Germania, che vi ha fatto ricorso a settembre, e la Francia, dopo gli attentati terroristici del 13 novembre. L’Italia non ha intenzione di ripristinare i controlli ai confini. Lo ha assicurato nei giorni scorsi il ministro dell’Interno Angelino Alfano: «A Nord-Est non chiuderemo le frontiere, ma abbiamo già inviato, e continueremo a farlo, numerosi uomini e mezzi antiterrorismo».