7 gennaio 2016
Ritratto di Kim Jong-un, dittatore misterioso
Mauro Del Corona per il Corriere della Sera
Nel nome del padre. Nel nome del nonno. Ma anche nel nome di se stesso. L’exploit nucleare di Kim Jong-un è un’affermazione di forza a titolo personale e l’assicurazione, davanti al suo popolo, che nulla è cambiato rispetto al passato: nulla, tranne la forza, appunto. Il giovane leader, succeduto al padre Kim Jong-il nel 2011, ha dalla sua parte il conforto di una tradizione confuciana mai esplicitata ma radicata nel profondo della società nordcoreana, dove il rispetto per gli antenati e la gerarchia è tanto, quasi tutto. Gli garantisce credito presso le masse, ben nutrite solo di propaganda, e gli impone di mostrarsi all’altezza dei predecessori. «Suono emozionante» quello della Bomba, quindi.
Quattro anni al potere hanno consentito a Kim Jong-un di modellare una cerchia di gerarchi dei quali fidarsi. Sbarazzandosi, all’occorrenza, di chi magari aveva auspicato una successione non dinastica a Kim Jong-il. Ha fatto giustiziare lo zio e mentore Jang Song-thaek, eliminato il responsabile della difesa Hyon Yong-chol, allontanato la zia Kim Kyong-hui, mentre il «maresciallo» dell’Esercito popolare Ri Ul-sol è morto per cause naturali e il capo negoziatore con i sudcoreani Hyon Yong-chol è scomparso in un «incidente d’auto» (così le fonti ufficiali) solo una settimana fa. Campo libero, dunque, e libero sfogo alla volontà di potenza.
La macchina del consenso in patria non è molto cambiata rispetto ai tempi del padre. Il marxismo-leninismo superato dal credo militarista, autarchico, ultranazionalista del Juche. Culto della personalità all’ennesima potenza con concessioni glamour: una first lady elegante e con borsette griffate mostrata con parsimonia, band nostrane e straniere celebrate a Pyongyang, inaugurazioni di impianti sciistici. Il segreto che permea le attività reali del «Brillante Leader» e i meccanismi del potere, tuttavia, resta totale. E il mistero è una specialità della casa che obbliga così gli osservatori esterni a decifrare i simbolismi occulti di ispezioni a fabbriche o a unità militari.
Che poi la Corea del Nord abbia decine o centinaia di migliaia di detenuti in un sistema di campi di detenzione e di lavoro, che stia in fondo alle classifiche mondiali del rispetto dei diritti umani, è questione che attiene al secondo palcoscenico sul quale si muove Kim, quello globale. Tutto falso, giurano gli ambasciatori di Pyongyang. E per il regime la guerra del 1950-53 è stata vinta ma non è mai finita (questo è un dato reale, alla fine delle ostilità non è mai seguito un trattato di pace); Kim, come il nonno e il padre, racconta al suo popolo di un mondo ostile di imperialisti che assediano il paradiso del socialismo. Le crisi alimentari ricorrenti, come quella degli anni Novanta (la «strenua marcia»), sono presentate in patria come provocate dall’aggressione capitalista.
Il contrasto fra i test nucleari e missilistici e il disastro strutturale di un Paese che ha qualche amico solo fra «Stati canaglia» è parte del rebus. In una recente conversazione con il «Corriere», lo scrittore Lee Eung-jun spiegava che «la Corea del Nord è già collassata. Economicamente non funziona più, si limita a vegetare». Autore di un romanzo su un’ipotetica riunificazione, «La vita privata della nazione», Lee illustrava così una psicologia che s’è fatta ideologia: «È un totalitarismo religioso, non è soltanto comunismo. C’è una specie di trinità: Kim Il-sung padre, Kim Jong-il figlio e la dottrina del Juche spirito santo. Un totalitarismo sciamanico in cui Kim Jong-un non è più nulla. Funziona come le chiese cristiane sudcoreane. In questo Sud e Nord Corea si assomigliano: sono dominate dallo sciamanesimo. Ma io penso che questa cornice di fascismo religioso a Pyongyang sia collassata. Resta una certa energia, resta l’abitudine: ma è inerzia».
Kim «terzo» confida nella tolleranza infastidita della Cina e nell’impraticabilità, per la comunità internazionale, di misure coercitive. Sa che dopo il primo test nucleare (2006) il Consiglio di sicurezza dell’Onu impiegò un giorno a redigere una risoluzione e 5 ad adottarla, 10 giorni e 2 dopo il secondo test (2009), 21 giorni e uno dopo il terzo (2013). Al Sud si sono abituati alle sparate del Nord: «C’è qui un livello doppio: coscienza e incoscienza. Sappiamo che ci sono le minacce ma ci comportiamo come se nulla fosse. Un’incoscienza collettiva», ci spiegava a Seul lo scrittore Lee. Forse lo sa anche Kim Jong-un.
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Carlo Pizzati per La Stampa
Aveva annunciato a dicembre che in Corea del Nord era pronta la bomba all’idrogeno.
Capire se prenderlo sul serio è sempre stato un problema per i vicini di casa, Corea del Sud e Cina, ma anche per i nemici americani.
Chi ha afferrato subito che non scherzava sono i nord-coreani, noti per i loro pianti recitati, nazione plagiata di prefiche costrette a versar lacrime a comando, pena l’internamento ai lavori forzati nei freddi kwan-li-so, i gulag coreani.
I film d’azione
Per il regista sud-coreano Shin Sang-ok, tenuto in ostaggio per anni, il leader Kim Jong-un confonde la realtà con i film: «Ama Rambo, James Bond e gli horror di venerdì 13. Ma crede siano veri». È così che l’interpretazione artistica si sovrappone alla realtà e si spiega perché, appena si presenta in pubblico, si piange più che con i Beatles e Justin Bieber. Come ha spiegato uno studente a Barbara Demick, nel saggio «Nothing to Envy», ne va della carriera e della vita. «Fissa. Piangi. Fissa. Piangi. Dopo un po’ diventa meccanico. Il corpo prende il controllo della mente e all’improvviso stai piangendo davvero. Senti indebolirsi le ginocchia, dondoli avanti indietro, singhiozzando come tutti». Una scena che ricorda la testimonianza di un giudice albanese, esiliato durante il regime di Enver Hoxha, dittatore che aveva giustiziato suo padre. Incontrandolo per un match di tennis di cui era campione, e dovendogli lasciar vincere la partita, disse che di fronte all’assassino di suo padre si sentiva nella presenza calda e illuminante di una divinità da venerare. È la stessa isteria collettiva che fa vivere un popolo affamato in un’autosuggestione emotiva, nell’ansia, nel terrore. Le lacrime da finte diventano vere. E trasmesse in tv a ogni occasione.
Pensate a un Paese dal presente distopico che ha ispirato «The Hunger Games» dove un ragazzo di 32 anni, noto per la sua timidezza e l’ossessione per l’Nba, terrorizza il mondo causando il più potente terremoto artificiale della storia. «Se scopri la pistola di papà in mano a un bimbo di cinque anni cosa fai?» ha commentato un diplomatico del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, riunitosi per l’emergenza. È lui, quello che si pensa potrebbe vendere armi atomiche ai terroristi e lanciare missili nucleari preventivi su Los Angeles e Washington D.C.
La frustrata immaturità è la chiave di lettura per capire il comportamento mercuriale di questo pericoloso leader pieno di segreti, folle e paranoico. Diventare un Caligola atomico è il miglior modo per agghiacciare tutti, tenerli sulle spine. Ed esigere di più. Lasciar sfogare l’irrazionalità tra cyber-attacchi, violazioni dei diritti umani, rapimenti e test nucleari serve a dimostrare che il più giovane capo di Stato del mondo non è un debole.
Domani è il suo compleanno. Che «il Grande Successore» sia nato nel 1982 o nel 1983 è tema di dibattito, come molti dettagli biografici. È quasi certo che fosse lui il ragazzo impacciato con le ragazze, che prendeva brutti voti, ma giocava molto a basket nelle scuole private svizzere nei dintorni di Berna dal 1991 al 2000, sotto falso nome.
«Fuma sigarette Yves Saint Laurent, si scola bottiglie di Johnny Walker e ama guidare Mercedes-Benz 600», ha detto Kenji Fujimoto, cuoco di famiglia. Si spurgava dalle sbronze con le saune già negli anni in cui i nord-coreani morivano di fame a milioni, grazie alla politica del padre, il «Genio dei Geni», Kim Jong-il, il quale, almeno, era generoso con parenti e sottoposti. Il figlio invece s’è imposto come un vero terrore soprattutto per il Cerchio Magico di vegliardi che lo consigliavano. Scuola Gheddafi, Saddam Hussein e, appunto, Enver Hoxha.
Le tante «purghe»
Dall’insediamento nel 2012, su sette potenti anziani che ressero la bara del padre, cinque sono già stati rottamati alla coreana: licenziati, pensionati, rimossi o giustiziati. La fine più drammatica è quella dell’ex ministro della Difesa, Hyon Yong-chol, che s’è addormentato durante una riunione. È stato giustiziato, a quanto pare, con 24 mitragliatori da contraerea calibro 50. No, la Corea del Nord non è un paese per vecchi.
A detta dell’esperto di Corea del Nord Andrei Lankov, anche la purga dello zio Jang Sung-taek, strappato dalla sedia in diretta tv e giustiziato per «aver applaudito senza entusiasmo» sia servita a compensare la giovane età e a liberarsi dei vecchi brontoloni. «Non può essere a capo di sottoposti che hanno più del doppio dei suoi anni, non lo capiscono e non lo prendono seriamente». Ora tutto il paese, e anche i vicini di casa, lo prendono sul serio. La paura di un dio nucleare che possa annichilire tutti con un impulso improvviso è ormai interiorizzata dai nord-coreani. Un terrore che adesso potrebbe contagiare il mondo.
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Roberto Romagnoli per Il Messaggero
Corpulento, autoritario e collerico proprio come suo padre, il “caro leader” Kim Jong Il. Presidente del Paese più inaccessibile del mondo, Kim Jong-un, 33 anni è al potere dal dicembre 2011. E dei suoi quattro anni di regno non c’è un solo ricordo di un evento in cui sia riuscito a spogliarsi della sua divisa di “dittatore-bambino”.
Oltre a divertirsi a ordinare test missilistici, e ora, se confermato, nucleari, Kim Jong-un è divenuto tristemente famoso per le sue purghe, non curative ma soppressive, e per le sue manie. Poco più di un mese fa ha ordinato che tutti gli uomini si taglino i capelli come fa lui; massimo due centimetri di lunghezza. Per le donne il modello da seguire è quello di sua moglie Ri Sol-ju; esenta attori e attrici.
Poi c’è il presidente-bigben, quello che regala ai suoi cittadini, un fuso orario privato. Il 15 agosto le scorso lancette vengono portate indietro di 30 minuti in modo da non coincidere con quelle di Tokyo e Seul. La trovata è per “cancellare” il passato coloniale e resuscitare l’ora di quando la Corea era una sola. E quello nutrizionista che nell’estate 2014 vieta di mangiare i celebri biscotti “Choco pies” prodotti dalla Corea del Sud. La reazione dei cittadini sudcoreani è immediata: appesi a piccole mongolfiere ne vengono spediti oltrefrontiera centomila confezioni. Una volta tanto tra Seul e Pyongyang non si litiga su lancio di missili. Infine ci sono il presidente-Valentino, per cinque volte eletto come uomo più elegante del Paese, e il presidente-ossessionato, quello che teme di essere avvelenato e quindi fa controllare ogni foglia di insalata al microscopio.
Fin qui ci sarebbe solo da ridere del “dittatore-bambino”. Ma se si entra nella sua sfera autoritario-collerica, le cose cambiano. Passi per la sua irruzione nel centro nazionale meteorologico dove dà una bella strigliata ai tecnici colpevoli di sbagliare troppo spesso le previsioni. Ma nel dicembre 2013 Kim-Jong-un fa uccidere Jang Song-Thaek, numero due del partito e del regime, nonché suo zio, assieme a un pugno di ufficiali accusati di aver pianficato un golpe. Lo stesso presidente, alcuni giorni dopo l’esecuzione, conferma la morte dello zio. Nessuna conferma, invece, come diffuso da alcuni media, che lo zio sarebbe stato fatto sbranare da decine di cani. Tra le cattiverie attribuitegli (ma non confermabili) anche quelle di aver fatto eliminare nell’aprile 2015 due viceministri, a maggio il ministro della Difesa Hyon Yong-chol, a luglio, il responsabile di un acquario per aver fatto morire alcune tartarughe, ad agosto il vicepremier Choe Yong-gon. Ma qui siamo nel campo del presidente-sfruttato, quello a cui viene attribuito di tutto, come se non bastasse la realtà.