la Repubblica, 6 gennaio 2016
Si taglieranno le partecipate che fatturano meno di un milione l’anno e che hanno più consiglieri d’amministrazione che dipendenti
Si arricchisce di nuovi dettagli la riforma delle partecipate, attesa per il Consiglio dei ministri dell’8 o del 15 gennaio. Uno di questi riguarda il fatturato medio conseguito nell’ultimo triennio: se inferiore al milione di euro, secondo le ultime ipotesi, la società si candida alla razionalizzazione, fusione o soppressione. Una condizione che al momento sembra riguardare 2.712 aziende, in base ai dati raccolti dal dossier Cottarelli, un terzo del totale.
Sono 3.035 le imprese con più amministratori che dipendenti, anche queste possono saltare
Se dunque fosse confermata l’asticella al milione di euro, verrebbero chiamate in causa 1.203 società che offrono servizi alla cittadinanza e finanziate con la fiscalità generale, 714 tra farmacie comunali, terme, parcheggi, magazzini, studi di consulenza, enoteche, 412 aziende di servizi a rete (acqua, elettricità, gas, rifiuti, trasporti), 383 specializzate in attività strumentali, dunque informatica, servizi amministrativi, gestione immobili e patrimoniali. Rientrare in questo elenco non significa cessione sicura. Ma certo non garantisce sonni tranquilli.
D’altro canto il criterio del fatturato è solo uno dei test di sopravvivenza a cui le amministrazioni saranno obbligate annualmente a sottoporre le loro partecipate, pena una sanzione ancora da definire. Un altro è il numero di dipendenti, se pari a zero o inferiore a quello degli amministratori. In questo caso, a rischio sono in 3.035. Va detto poi che gli indicatori si sovrappongono. E dunque nelle 3.035 si potrebbero ritrovare anche parte delle precedenti 2.712: società con pochi lavoratori e basso valore della produzione. In poche parole: scatole vuote. Situazione plausibile. Basti pensare che in circa la metà delle partecipate dei Comuni censite dal Cerved il numero dei dipendenti è inferiore ai membri dei cda. E più in generale almeno 1.300 società hanno un fatturato inferiore a 100 mila euro.
Se dunque una pulizia è auspicabile, ciò non toglie che – almeno sulla carta – 100 mila lavoratori di 5 mila partecipate potrebbero essere costretti alla mobilità verso altre aziende pubbliche o a perdere il posto. Per Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro della Camera, «si tratta di una questione di rilevante impatto sociale per la quale vanno previsti adeguati strumenti di tutela».
Per la prima volta poi si stabilisce che le partecipate in crisi irreversibile possano finire in amministrazione controllata e fallire, anziché vedere le perdite ripianate da “mamma Pa”. Il decreto però fornisce una scappatoia. «Per salvaguardare la continuità nei servizi di pubblico interesse, a fronte di gravi pericoli per la sicurezza pubblica, l’ordine pubblico e la sanità», Palazzo Chigi con decreto può «autorizzare interventi finanziari straordinari». Una deroga ampia.