la Repubblica, 6 gennaio 2016
Parla Agostino Iacurci. «Deve decidere l’artista. La perdita può far parte dell’opera»
«I murales fanno ancora discutere, ma come al solito si discute sul niente. Non è possibile stabilire un protocollo street art semplicemente perché la street art mette insieme pratiche diverse e a volte di segno opposto». Agostino Iacurci ha portato il suo inconfondibile linguaggio sui muri di mezzo mondo, dai grattacieli di Taipei al carcere di Rebibbia, dalla Saba School nel Sahara Occidentale ai campus francesi. Con le sue forme geometriche, semplici e pulite e le tonalità accese, Iacurci è considerato uno dei nomi più interessanti della street art italiana, anche se lui questo termine non lo usa quasi mai.
Cosa c’è che non va nella definizione di street art?
«Non spiega nulla. Ci sono murales realizzati di concerto con i cittadini e le istituzioni. E opere nate nella clandestinità, atto di accusa o di rivendicazione».
Quindi?
«L’unico modo sensato di procedere è rispettare la volontà dell’autore. Non si può strappare dalla strada un’opera senza il consenso di chi l’ha fatta, con il rischio di tradirne il messaggio e la natura. Per alcuni l’effimero è una cifra: un murales può essere cancellato, aggredito o deperire per incuria, può cambiare perché a cambiare è il contesto urbano».
Può anche essere strappato dalla strada per finire in un museo?
«Uno dei problemi è il diritto alla riappropriazione: un curatore è libero di prendere qualcosa e di trasformarlo in altro? Se dichiara di farlo per salvare l’arte dall’oblio dovrebbe chiedere all’artista se la perdita non è parte del suo lavoro. In ogni caso ci sono altre vie per la conservazione, la documentazione è una delle forme più rispettose».
L’ultima parola all’artista, sempre e comunque? Quando un’opera nasce in strada ci sono anche i diritti di chi quel luogo lo vive.
«Dobbiamo chiederci di chi è lo spazio pubblico e interrogarci sull’uso di questo spazio».
Non le sembra schizofrenico che da una parte si cancellino le opere e dall’altra le si voglia nei musei?
«È un groviglio di diritti e valutazioni impossibile da sciogliere. Gli unici ragionamenti sensati sono quelli sui singoli artisti».