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 2016  gennaio 06 Mercoledì calendario

La Cina vende dollari per difendere lo yuan e mette sul tavolo 20 miliardi. Ma non si sa se saranno misure sufficienti

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
PECHINO Nei titoli della stampa internazionale e nel «sentiment» degli investitori, è Pechino l’imputato principale per le centinaia di miliardi (virtuali) bruciati lunedì sui mercati. In realtà c’è anche la crisi mediorientale tra Arabia Saudita e Iran sul registro degli indagati: ma è un fatto, un’implicita ammissione di responsabilità, che ieri le autorità cinesi si sono mosse con rapidità su diversi fronti per cercare di stabilizzare la situazione in Borsa e sostenere lo yuanrima che le Borse di Shanghai e Shenzhen riaprissero, dopo il blocco delle contrattazioni scattato lunedì quando gli indici principali hanno toccato la soglia del -7%, l’autorità che regola il mercato cinese ha fatto filtrare l’ipotesi di un’estensione del divieto di vendere imposto in estate agli investitori che controllano oltre il 5% di un titolo. Questo blocco sui grandi pacchetti azionari era in vigore da luglio, nei giorni della grande fuga dalla Borsa che aveva cancellato il 45% del valore degli indici principali a Shanghai e Shenzhen, e dovrebbe scadere venerdì 8 gennaio, dopo sei mesi durante i quali i listini cinesi si erano ripresi.
Nella notte tra lunedì e martedì è entrata in azione anche la People’s Bank of China, che ha immesso nel sistema finanziario cinese 130 miliardi di yuan, quasi 20 miliardi di dollari. La Banca centrale è intervenuta anche sul terreno del cambio valutario, vendendo dollari dalle sue imponenti riserve per sostenere lo yuan che continua a indebolirsi. I risultati della rapida manovra sono incerti: il Composite Index di Shanghai ieri ha ceduto ancora lo 0,3%, ma lo CSI 300 delle blue-chip ha chiuso a +0,3% dopo il crollo del 7% di lunedì. E com’è ormai «normale» nelle giornate critiche in questo «mercato con caratteristiche cinesi», come lo definisce Pechino, negli ultimi minuti delle contrattazioni sono state osservate operazioni massicce. In questi acquisti di azioni concentrati poco prima della chiusura, gli analisti hanno visto nuovamente la mano del «national team» di investitori statali che agiscono per cercare di governare il mercato, nonostante le autorità avessero promesso di porre fine a questa pratica. La giornata è stata decisamente più calma anche nelle piazze internazionali: Milano ha recuperato l’1,2%.
Tutti gli analisti concordano nel prevedere un anno di grande volatilità. Gli indicatori dell’economia a Pechino segnalano un rallentamento: l’attività manufatturiera è in contrazione da cinque mesi. Ma l’industria dei servizi sta crescendo e ormai rappresenta stabilmente oltre il 50% del Pil.
Quindi, il delicato progetto di modernizzazione del sistema cinese da Fabbrica del Mondo a società di servizi e consumi avanza, anche se non al passo sperato.
Per quanto riguarda il crollo di lunedì, è possibile che la corsa a vendere sia stata causata da una manovra dei grandi investitori che hanno voluto mettere alla prova il nuovo meccanismo di «interruttore» appena introdotto nella Borsa cinese. Con oscillazioni del 5% stop per un quarto d’ora alle contrattazioni; se alla ripresa il calo prosegue e raggiunge il 7% la seduta è chiusa. A Shanghai tutto è successo nel giro di 7 minuti.
Allora, colpa della debolezza dell’economia cinese o test del nuovo «meccanismo interruttore»? C’è un clima d’ansia anche a Pechino: molti analisti che in estate erano pronti a intervenire nel dibattito sulla strategia del governo oggi si negano (in questi mesi le autorità hanno arrestato diversi dirigenti di società d’intermediazione e giornalisti). Chen Jiahe, chief strategist di Cinda Securities e commentatore per la tv statale di Pechino dice al Corriere : «In realtà venivamo da diversi giorni di festa e nel periodo di chiusura si era parlato molto della fine del blocco delle vendite dei grandi pacchetti azionari prevista per l’8 gennaio; in più, molti titoli di aziende minori erano alti, quindi una seconda propensione a vendere, realizzare. L’interruttore è un meccanismo neutro che funziona anche in caso di rialzo superiore al 5%, quindi è l’effetto, non la causa di quel che è successo». Sul possibile intervento del national team di investitori statali Jiahe taglia corto: «Non posso commentare sulle voci, non ho visto con i miei occhi». Che cosa si può prevedere dunque per il resto dell’anno? C’è consenso su un ulteriore deprezzamento dello yuan e su una volatilità dei mercati. Previsioni che potrebbe fare anche l’uomo della strada: ma nessuno, nemmeno tra i più rispettati analisti ed economisti occidentali, ha una sfera di cristallo per leggere nel futuro della Borsa e dell’economia «con caratteristiche cinesi».