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 2016  gennaio 06 Mercoledì calendario

Quello che pensa Minoli della nuova Rai

ROMA Non che faccia curriculum (e il suo è sterminato: Mixer, La Storia siamo noi, Quelli della Notte, Un posto al sole, direttore di Raidue, Raitre, Rai Storia e Rai Scuola e fermiamoci qui che finisce lo spazio) ma la prima bestemmia in diretta toccò a lui, da capostruttura di Raidue: ore 18 del 22 gennaio 1984, a Blitz, Leopoldo Mastelloni intervistato da Stella Pende imprecò al microfono e non ci fu modo di metterci riparo.
«E scoppiò il finimondo. Mi convocò Mario Motta, il vice di Agnes, che mi sottopose a un processo modello staliniano. Volevano licenziarmi in tronco, mi salvò il voto contrario di un consigliere. La Pende per tre settimane parlò solo di libri». Tutto ritorna, anche il peggio, stavolta al veglione di Capodanno. «Una tempesta in un bicchier d’acqua» la liquida Giovanni Minoli, Torino 1945, ora a Mix24 su Radio24. «Non che vada bene, però sono incidenti che capitano. Se pensano di attaccare Campo Dall’Orto così, è una tattica inutile. Non ha detto una parola, bravo. Credo invece che dovrebbe spiegarci altro».
Che vorrebbe sapere dal dg e prossimo ad di viale Mazzini?
«Cosa intende per servizio pubblico nell’era multimediale e multipiattaforma. Tutti ne parlano, nessuno lo spiega, resta un concetto astratto. Per fare cosa? Come? Con chi? Non l’ho ancora capito».
Campo Dall’Orto sta lavorando. Avrà i suoi tempi.
«Sono passati sette mesi. Ho trascorso in Rai 40 anni, conosco azienda, uomini e problemi, è un periodo ragionevole. La avrà pure in testa, la sua idea di servizio pubblico, mi auguro che la esplichi prima di passare alle nomine. Ha un’occasione storica: da ad avrà pieni poteri, come nessuno prima. Spero che se la giochi bene».
Ovvero?
«La tv ha insegnato l’italiano agli italiani, con i teleromanzi ha riletto la grande letteratura, ha scandagliato l’intrattenimento mondiale, ora il compito va completato.Nel 2016 scade la concessione in esclusiva alla Rai. Deve dimostrare che vale i soldi del canone, visto che non si potrà più evadere. Chi lo dice che il TG1 è servizio pubblico è il TG di Mentana no, che le interviste dell’Annunziata sì, quelle della Gruber no, Conti sì e Crozza no? Anche le altre tv potrebbero farsi avanti e pretendere una quota di canone su progetti».
La Rai è la Rai, adesso è pure riformata.
«E forse il governo avrebbe dovuto dare delle linee guida, identificare la mission».
E invece?
«Senza un progetto chiaro come si fa a riorganizzare da zero un’azienda? Andrebbero valorizzate le risorse che si hanno. Invece alla Rai quasi il 70 per cento della prima serata si fa in outsourcing, all’esterno. Comprando format che abbiamo già, nelle sterminate teche, basterebbe aggiornarli. E se tutto si appalta fuori, i 15 mila dipendenti che fanno? Le reti poi non hanno più senso, sarebbe meglio ragionare per fasce orarie, consentirebbe più sperimentazione».
Ottimi spunti per il dg.
«Non do consigli, non ne ha bisogno. Gli auguro solo di essere chiaro, meno generico, nel suo interesse. Purtroppo in Rai ormai restano solo stratificazioni di burocrazia, sono pochissimi e vanno valorizzati gli uomini di prodotto, poi ben vengano gli esterni, se bravi. Questa non è ancora la Rai di Campo Dall’Orto, non sono suoi i palinsesti né la squadra. Quando sarà ad si prenderà meriti e demeriti».
Per ora c’è solo la lunga e trepida vigilia delle nomine.
«In questi momenti c’è un clima di immobilismo totale, nessuno decide niente. A viale Mazzini si parla il “raiese”, lingua che capiscono solo gli interni. Si tribola. C’è chi ha il terrore di ritrovarsi sui giornali, significa che è bruciato. Ai tempi c’era gente che si appostava sotto casa dei politici».
Lei che faceva, per ingannare l’attesa?
«Niente. A parte una volta, nel 1993. La Sellerio mi voleva a ogni costo alla direzione di Raidue, ma era il cda dei professori e io ero catalogato come il craxiano di ferro da sacrificare. La sera prima, il presidente Dematté e il dg Locatelli mi portarono a cena per convincermi a rifiutare. Mi offrirono un ricco contrattone da esterno. Elvira mi avvisò: se te ne vai ti ammazzo. Rimasi».