Corriere della Sera, 6 gennaio 2016
Cgil, Cisl e Uil di nuovo uniti per proporre a Confindustria un nuovo tipo di contratto nazionale (tra l’altro non più legato all’inflazione ma alla produttività)
ROMA L’inflazione a zero ha inceppato il meccanismo di rinnovo dei contratti di lavoro, finora basato su aumenti legati all’andamento dei prezzi. I sindacati si sono trovati di fronte, man mano che i contratti nazionali scadevano, a controparti che hanno avuto gioco facile nel far osservare che, negli ultimi anni, le imprese avevano erogato aumenti dei minimi salariali maggiori rispetto all’inflazione. E che, applicando in modo rigoroso le regole sulla verifica degli scostamenti tra l’incremento dei minimi e quello dei prezzi, le aziende avrebbero potuto pretendere il rimborso degli aumenti dati in più. È successo così per i chimici che si videro calcolare da Federchimica una differenza di 79 euro da restituire e la stessa cosa è successa ai metalmeccanici dove Federmeccanica ha stimato il potenziale conguaglio in 75 euro. I chimici hanno superato lo scoglio e rinnovato il contratto con aumenti che però partiranno con un anno di ritardo, nel 2017, a parziale compensazione dello scarto.
I metalmeccanici sono fermi su una proposta di Federmeccanica che prefigura un superamento della centralità del contratto nazionale, per spostare di fatto tutto sul contratto aziendale e su erogazioni sotto forma di welfare integrativo (previdenza complementare, fondi sanitari, eccetera), che godono dell’esenzione fiscale. Nella partita contrattuale, infine, potrebbe intervenire il governo che più volte ha annunciato la possibilità di introdurre il salario minimo legale (si ipotizzò 7 euro l’ora) allo scopo di fornire un paracadute a tutti i lavoratori, in particolare quelli non coperti dalla contrattazione.
Per uscire dall’angolo Confindustria da una parte e Cgil, Cisl e Uil dall’altra hanno tentato nei mesi scorsi, senza riuscirci, di avviare una trattativa ed evitare l’intervento del governo che, di fatto, metterebbe fuori gioco il ruolo del contratto nazionale e con esso la funzione delle centrali sindacali e imprenditoriali. Il 2016 potrebbe essere l’anno buono, soprattutto il secondo semestre, dopo che Confindustria, a fine maggio, avrà scelto il successore del presidente Giorgio Squinzi. In questi giorni Cgil, Cisl e Uil stanno chiudendo l’accordo su una proposta unitaria – e già questa è una novità – da presentare a Confindustria. Ieri c’è stato un nuovo incontro fra i tecnici e i direttivi unitari di Cgil, Cisl e Uil sono stati convocati per giovedì per sancire l’intesa. Le novità a più forte valenza politica sono tre: 1) il tentativo di aprire un confronto con Confindustria e le altre associazioni imprenditoriali per tornare protagonisti sulla scena delle relazioni industriali occupata finora dalle novità del duo Marchionne-Renzi; 2) la disponibilità, dichiarata nella proposta, a una legge che attui l’articolo 39 sulla rappresentanza (ma la verifica, dicono i sindacati, deve valere anche per le associazioni imprenditoriali) e sulla validità erga omnes dei contratti, cioè per tutti i lavoratori della categoria. Una mossa tesa a bloccare appunto la tentazione di Renzi di introdurre il salario minimo per legge; 3) il superamento dell’inflazione come parametro guida.
Nella sua essenza – il documento in gestazione oscilla tra 16 e 18 cartelle ed è diviso in tre capitoli: contrattazione, partecipazione, regole – la proposta non contiene una revisione radicale del modello contrattuale. Che per il sindacato deve restare centrato sul contratto nazionale, che definisce i minimi salariali di categoria e una voce retributiva (elemento perequativo) per i lavoratori che non fanno contrattazione aziendale. Il parametro scelto per gli aumenti dei minimi non sarà più l’Ipca, cioè l’inflazione al netto della componente energetica, ma un riferimento «macroeconomico» (Pil nominale, produttività di settore o altro, per ora non specificato) che abbia l’obiettivo non solo di difendere ma di «migliorare» il potere d’acquisto delle retribuzioni. Al contratto nazionale dovrà sommarsi il contratto aziendale o quello territoriale. I due livelli (nazionale e decentrato) non possono essere alternativi. Per incentivare la contrattazione aziendale la proposta prevede che questa abbia grande libertà di azione sull’orario e sull’organizzazione flessibile del lavoro e su capitoli più nuovi come partecipazione e welfare aziendale. È appena il caso di osservare che il documento sindacale è distante anni luce dall’impostazione di Confindustria e soprattutto di Federmeccanica. Ma per il momento al sindacato interessa tornare sulla scena unito. I contenuti verranno dopo. Per questo Cgil, Cisl e Uil insistono che si tratta di una proposta aperta alla discussione. Forse, l’ultimo, disperato tentativo di salvare la centralità del contratto nazionale.