Corriere della Sera, 5 gennaio 2016
Il caso del necrologio per la nonnina cinese
«Nenè», la nonnina, «è salita in paradiso», e la figlia Rita, a nome di tutta la numerosa famiglia, ha dettato un necrologio al Corriere della Sera. Uno dei primi, forse addirittura il primo a memoria delle impiegate dell’ufficio, dedicato a una defunta cinese: Yu Ying Cheng, 80 anni, dal 1969 a Milano.
Non aveva preso la cittadinanza italiana, perché non le erano mai arrivati i documenti giusti da Pechino. Ma non era voluta rientrare anziana in Cina, come invece avrebbe preferito il marito e come accade spesso tra i pensionati della prima generazione di immigrati. «La mia famiglia è qui», diceva, «i miei nipoti sono qui». E a Milano, tra Paolo Sarpi, Porta Venezia e Crescenzago, c’è tutto il mondo di fatica e affetti costruito in 45 anni da questa donna minuta di straordinaria tempra.
«Aveva sacrificato tutto per noi – dice la figlia Sofò – aveva lavorato tantissimo». Originaria di Shanghai, aveva sposato giovane il marito King. La coppia si era trasferita a Hong Kong (allora colonia britannica e porta verso l’Europa) e aveva avuto quattro figli. Il capofamiglia era partito quindi per Milano, chef nel primo ristorante cinese della città, La Pagoda. Era il 1962. Sette anni più tardi, Yu Ying l’aveva raggiunto con i bambini.
«Per mantenerci cuciva borse nei laboratori di pelletteria in zona Canonica», continua Sofò. E intanto risparmiava per aprire un locale col marito, negli anni Settanta, il Mandarin, punto di riferimento storico in città. A partire dai ravioli. «I nonni hanno insegnato alle figlie come prepararli e le nostre madri hanno passato a noi il segreto», racconta la nipote Pui, che ha raccolto l’eredità di «Nenè» nel ristorante di via Lazzaretto, Lon Fon. «Uno dei migliori a Milano», lo considera il critico gastronomico del Corriere Valerio M. Visintin. Che promuove anche il locale del cugino, il Mandarin 2, «ristorante cinese di lungo corso, innervato dall’avvento delle nuove generazioni».
Cliente abituale dei King, tra i tanti, uno dei più noti artisti contemporanei, Maurizio Cattelan, che aveva grande simpatia per i «nonnini» e li aveva anche messi in posa in uno dei suoi set, stesi sul pavimento di Villa Necchi Campiglio.
I ravioli si fanno ancora tutti i giorni a mano. Ma la famiglia intanto si è allargata e mescolata nei matrimoni con gli «autoctoni». Il cinese non è la lingua dominante nei raduni dei King, alcuni dei nipoti non lo parlano più. Tutti hanno accento milanese, cittadinanza italiana. Ed educazione cattolica. I figli sono stati battezzati, e Nenè a modo suo pregava: Padre Pio assieme a Buddha in un altarino che teneva in casa.
«Era una signora molto moderna – sottolinea Pui —, divertente, simpatica, una donna colorata». Si capisce anche dalla partecipazione alla trasmissione di Geppi Cucciari «G’Day», qualche anno fa su La7, dove i Cheng interpretavano i «Cinesoni» (parodia italocinese dei Cesaroni) e la nonna era senza dubbio il personaggio più spassoso.
Autoironica, con la «elle» serenamente sostituita alla «erre» e la disposizione a far ridere. Ma non meno autoritaria, capace di condurre da sola una dozzina di nipoti bambini a Milano Marittima d’estate. «Ci “minacciava” per gioco col bastoncino che si usa al tavolo del mahjong – ricorda Pui – lo chiamava “la bacchetta magica”». E con due perentorie parole era in grado di ricomporre in pochi istanti un’intera famiglia, tra Italia e Cina: «A tavola!».