La Gazzetta dello Sport, 5 gennaio 2016
La storia d’amore tra Zizou e il Real, nata su un tovagliolo
Il Diez per salvare la baracca. Zinedine Zidane per tacitare tifosi, stampa e anche i giocatori, che avevano affibbiato a Rafa Benitez proprio quel soprannome, El Diez, in tono dispregiativo. Il meticoloso Rafa che voleva che la palla fosse calciata in un certo modo e gli spocchiosi miliardari vestiti di bianco che lo prendevano in giro perché la palla la calciavano meglio di lui.
Ora con Zizou la boria sportiva la dovranno riporre negli armadietti col profumo griffato e le chiavi della supercar. Perché Zinedine rappresenta un bel pezzo della gloria calcistica recente, campione del Mondo e d’Europa con la Francia nel 1998 e nel 2000, d’Europa (e poi del Mondo) con il Madrid nel 2002 a Glasgow contro il Bayer Leverkusen grazie a un gesto tecnico che ricorre sempre, sempre, sempre in ogni video celebrativo del Real. Quella mezza girata di sinistro deliziosa e potente, un calcio che valse la «novena» Champions, la prima di Florentino Perez, un gesto che rappresenta tutto il calcio magico di Zizou.
Che aveva fatto innamorare Florentino alla fine del secolo scorso. Zizou faticava alla Juve di Ancelotti, Perez si prendeva il Madrid (estate 2000) e partiva all’assalto del francese. La triade bianconera resisteva però nel 2001 arrivò l’offerta che non si poteva rifiutare: una pioggia di milioni a corollario del «Si, quiero» strappato da Perez allo stesso Zizou poco prima. Una scena entrata nella storia del calcio moderno: la cena nella stesso locale, Florentino che verga in francese su un tovagliolo la domanda fatidica: «Vuoi giocare nel Real Madrid?» e fa recapitare il messaggio al tavolo del giocatore, Zizou che risponde con un semplice «Oui». «Quello è stato il giorno più felice della mia vita», ha detto a Vogue il figlio di emigranti algerini.
Il marsigliese cresciuto a calcio e disagio, passato da Cannes e Bordeaux e poi finito in una Torino troppo grigia per lui e sua moglie andalusa. La chiamata del Re Sole Florentino ha cambiato la vita di Zidane. Quattordici anni dopo la storia non solo non è finita, i quattro maschi di Zinedine giocano tutti nella Cantera della Casa Blanca, ma riparte con un nuovo fiammante episodio: la panchina della prima squadra. Zizou ha vestito per 5 anni la camiseta Blanca. Vincendo 8 titoli (una Liga, una Champions e due Mondiali per Club oltre a 4 Supercoppe tra Spagna ed Europa), vivendo l’apogeo e la caduta del primo impero florentiniano. Nel febbraio 2006 Perez si dimise schiacciato da 3 stagioni senza vittorie, a maggio Zizou giocò contro il Villarreal la sua ultima gara al Bernabeu.
Se ne andò lasciando il campo in lacrime e tenendo sulle spalle la maglia di Riquelme, un Diez come lui. I giocatori del Madrid sulla maglia avevano una scritta: «Zidane 2001-2006», gesto di eccezionale stima che il club non ha dedicato a Casillas o a Raul, tanto per dire. Due che hanno vinto molto più di Zizou al Madrid, pezzi di storia del club che però Perez non ha amato mai quanto il francese. Zinedine fece in tempo a perdere la finale Mondiale contro di noi chiudendo con la 14a espulsione una carriera vissuta sempre sul filo dei nervi, tra banlieue e grandeur. Poi 7 anni a pensare cosa fare nella vita e finalmente un altro «Sì», a Carlo Ancelotti che lo ha scelto come suo vice, come uomo della casa per la sua avventura galattica. Un anno vissuto intensamente e culminato con la conquista della Decima. Un rapporto che si è via via raffreddato, perché l’ambizione di Zidane cozzava anche contro la notevole tolleranza di Carletto.
Florentino trovò un compromesso affidando a Zinedine il Castilla, la seconda squadra del Madrid che giocava in Segunda, la B spagnola. Le cose sono andate male, tra acquisti sbagliati e una gestione non ottimale delle promesse del Madrid. Partenza pessima, rilancio e crisi finale con retrocessione in Segunda B, terza serie. Zizou però non ha mollato. «Sono un testone – ci ha detto quando il 22 novembre scorso, day after del 4-0 rifilato dal Barça al Madrid al Bernabeu con Benitez in grave pericolo – quando mi metto in testa una cosa voglio portarla a termine. Con il Castilla ho un debito». Quindi anche allenare il Madrid... «Oggi è prematuro. Non sono pronto, però nessuno è mai davvero pronto nella vita». Fatalismo che interpretammo come il terzo sì di questo romanzone tra Zidane e il Madrid. «Se mi chiamano, ci sono», era il messaggio in codice di Zizou. Che infatti in Segunda non faceva conferenze stampa e invece in Segunda B aveva cominciato a farle, nelle gare casalinghe. Un allenamento per migliorare un fondamentale che non ha mai dominato: la dialettica. Zizou non ama parlare, e ancor meno il contatto coi giornalisti. Ora dovrà cambiare abitudini.
E a 43 anni, quasi 15 dopo l’episodio del tovagliolo, metterà alla prova l’amore eterno dichiaratogli da Florentino. Perché Perez gli allenatori li considera un male necessario e prima ancora di affidare a Zidane la prima squadra ha fatto sapere alla sua cerchia più intima di aver visto intaccata la stima che aveva per il giocatore. Perez non ha apprezzato più di tanto la gestione di Zizou al Castilla, dove lo considerava poco brillante nella comunicazione con stampa, giocatori e società ed eccessivamente dipendente dal giudizio di David Bettoni, suo amico e secondo dalla forte personalità. Però ora solo Zidane poteva salvare la squadra e zittire la critica. E se si brucerà... Peggio per lui. Il Madrid ha il suo «Diez», Zizou la sua panchina. Un’unione obbligata e forse prematura, l’unica possibile.