Avvenire, 5 gennaio 2016
Come fare un gran bel film parlando di subprime, Cdo, AAA, bolle immobiliari, ecc.
Mettiamo subito in chiaro una cosa: guardare La grande scommessa, in arrivo giovedì prossimo nelle nostre sale, è un po’ come assistere a uno spettacolo dove si parla una lingua sconosciuta. Diretto da Adam McKay finora regista di modeste e grossolane commedie interpretate dal comico statunitense Will Farrell, il film racconta infatti di come un gruppo di outsider esperti in finanza si accorse nel 2005 di ciò che le grandi banche, i media e le autorità di regolamentazione del governo si rifiutavano di vedere: l’imminente crisi economica globale preannunciata da una crescente instabilità del sistema nutrita dalla vendita insensata di pacchetti azionari fraudolenti. Un tema assai complesso, riservato agli addetti ai lavori, misterioso e quasi esoterico per la gente comune che una cosa però l’ha capita benissimo: qualcuno ha truffato tanti poveri cittadini e non ha mai pagato per questo orrenda catastrofe i cui effetti si fanno sentire pesantemente ancora oggi.
La grande scommessa lancia dunque una sfida altrettanto grande e la vince: quella di fare spettacolo trattando un argomento quasi incomprensibile, di intrattenere con successo il grande pubblico parlando di subprime, Cdo, AAA, bolle immobiliari, tassi variabili, obbligazioni, derivati di copertura. Un vero rompicapo che però non fallisce nel suo intento di tenere incollato lo spettatore alla poltrona per più di due ore. Questo perché il film, serio candidato ai prossimi Oscar e in lizza nel frattempo per i Golden Globe come migliore commedia, migliore sceneggiatura e le interpretazioni di Christian Bale e Steve Carell, può contare su una struttura narrativa tanto anticonvenzionale quanto geniale, nevrotica, adrenalinica e verbosa, che sembra seguire un interno ritmo hip hop. E su un assai convincente ritratto psicologico di tutti i personaggi coinvolti.
Sforzo del regista è naturalmente quello di farci credere che tutto quello che racconta è vero perché questa storia, tratta dal bestseller The big short (letteralmente “Il grande scoperto”) di Michael Lewis che negli anni Ottanta ha lavorato per una grande banca di Wall Street, ha dell’incredibile. Nel film tutto comincia quando Michael Burry (Christian Bale), eccentrico manager di fondi, che cammina scalzo in ufficio e suona la batteria per combattere lo stress, esamina migliaia di prestiti individuali legati a mutui ad alto rischio e scopre che i prodotti finanziari sono destinati al default in pochi anni. Una vera e propria bomba a orologeria che spinge Burry a creare strumenti finanziari per mandare in tilt il mercato immobiliare in forte espansione. Lo seguiranno nell’impresa Jared Vennett, giovane e rampante banchiere di Wall Street (Ryan Gosling) che offre al film anche la sua voce narrante, Mark Baum, esperto manager di prodotti finanziari (Steve Carell) con il suo team di analisti, Jamie Shilpey e Charlie Geller, due giovani investitori che sperano di entrare nel giro della grande finanza (Finn Wittrock e Jogn Magaro) e Ben Rickert, un ex banchiere divenuto ambientalista (un Brad Pitt quasi irriconoscibile sotto la barba). Tutti scommettono contro Wall Street e vincono, arricchendosi ben oltre ogni rosea previsione, ma solo uno tra loro, il personaggio interpretato da Steve Carell, metterà in primo piano la questione morale, tormentato dal senso di colpa di aver contribuito nel mandare in malora un intero Paese. «Perché confessano?», chiede a un certo punto smarrito ascoltando il racconto del mega-raggiro. «Non stanno confessando, si stanno vantando», gli rispondono. Come si apprende alla fine, Burry contatterà l’Fbi per spiegare loro come era stato possibile prevedere il crollo, ma non è mai stato ascoltato. Altri film fino ad ora hanno tentato di spiegare cosa è successo nel 2008, basti ricordare il documentario premio Oscar Inside job e Margin call che ricostruisce la drammatica notte prima del fallimento della banca Lehman Brothers. Ma la novità di La grande scommessa sta nell’adottare un tono iperrealistico e nel mescolare dramma e comicità, farsa e indignazione, amarezza e stupore, offrendo allo spettatore una materia straordinariamente densa. E quando le cose si mettono davvero male per lo spettatore, che proprio non ce la fa a capire di cosa stanno parlando, ecco che l’azione e la finzione si interrompono e sullo schermo compaiono alcuni personaggi famosi estranei al contesto (ad esempio Selena Gomez, star della pop music) che nei panni di se stessi spiegano con parole semplici ed esempi concreti concetti a dir poco criptici. Esilarante a questo proposito il cameo dello chef Anthony Bourdain, star della tv, che paragona il pesce avanzato e utilizzato per le zuppe nei ristoranti alle attività finanziarie tossiche. La critica statunitense ha promosso il film a pieni voti. Il “Wall Street Journal” lo definisce un «mix di umorismo feroce e irriverenza gioiosa» capace di illuminare una tematica così tragica, mentre il “New York Times” sentenzia: «Una crime story reale e una commedia furiosa che confermerà il vostro cinismo più profondo nei riguardi di Wall Street mentre al tempo stesso vi restituirà la fede in Hollywood».