Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  gennaio 05 Martedì calendario

Ecco perché le Olimpiadi potrebbero portare l’Italia sull’orlo del baratro

“Ci sono cose che non si possono raccontare, ci sono cose che vanno vissute”, dice il videomessaggio di Natale del comitato che vuole portare a Roma le Olimpiadi del 2024. Scorrono immagini di Federica Pellegrini, Josefa Idem e altri eroi dello sport. Tra le cose che non si possono raccontare e vanno solo vissute sembra ci siano anche i costi (certi) e i benefici (incerti) di ottenere a Roma il grande evento che dovrebbe riscattare la Capitale dalla sua sudditanza verso Milano, che ha avuto Expo 2015. A più di un anno dall’annuncio della candidatura, il Comitato presieduto da Luca Cordero di Montezemolo e ispirato dal presidente del Coni Giovanni Malagò non ha mai presentato gli studi di fattibilità promessi. Quelli che dovrebbero spiegare quanto Roma e l’Italia possono guadagnare o perdere dalle Olimpiadi romane. 
La campagna per la consultazione
Vista l’incertezza, i conti li hanno fatti i Radicali Italiani, con un dossier alla base della campagna che lancia oggi il segretario (ed ex consigliere comunale romano) Ricardo Magi: “Chiediamo che a Roma si faccia un referendum, come è successo in altre città europee, per decidere se affrontare il rischio di ospitare le Olimpiadi”. Ci sarà un sito referendumroma2024.it, una petizione su Change.org, e la speranza di avere adesioni autorevoli, magari anche l’ex premier Mario Monti che nel 2011 fermò la candidatura di Roma per i giochi del 2020 proprio perché preoccupato dai costi.
I numeri presentati dai Radicali invitano a un certo scetticismo. Gli economisti Bent Flvyberg e Alison Stewart di Oxford hanno analizzato i costi diretti dei grandi eventi sportivi (personale, trasporti, amministrazione, catering) ma anche quelli indiretti, dalle infrastrutture ai nuovi stadi. Negli ultimi 50 anni, l’aumento medio della spesa rispetto al budget iniziale è stato del 185 per cento. Il peggio si è consumato a Montreal nel 1976 con un aumento del 796 per cento. I migliori sono stati i cinesi nel 2008, hanno sforato solo del 4 per cento.
 
Trent’anni di tasse se si va in rosso
Per capire cosa significa, basta prendere i risultati dei giochi invernali di Torino nel 2006. Come ha ricordato l’economista Andrea Boitani su lavoce.info, la spesa è stata soprattutto a carico del pubblico, governo ed enti locali hanno pagato il 93,7 per cento dei 2,1 miliardi per gli investimenti. Anche con le stime più ottimistiche, i benefici non hanno superato i 2,5 miliardi. Ai 2,1 miliardi di investimenti vanno aggiunti 1,2 per la gestione operativa dell’evento, il bilancio si chiude con un rosso di 800 milioni. Chi paga?
Secondo uno studio di Wladimir Andreff citato dal dossier dei Radicali, il conto finisce in gran parte ai contribuenti. Per i giochi del 1968 i contribuenti di Grenoble hanno continuato a pagare un’apposita tassa fino al 1992, ad Albertville i giochi invernali dello stesso anno hanno determinato un aumento del carico fiscale sulla casa del 4 per cento. Atene, che con le Olimpiadi del 2004 ha celebrato i suoi ultimi fasti prima del disastro, ha spalmato il conto fino almeno al 2030.
Animati da patriottismo sportivo e spinti dalle imprese che contano di privatizzare i profitti e socializzare le perdite, i Paesi fanno molta fatica ad avere un’idea chiara di cosa comporta vincere la gara per ottenere i giochi olimpici. E, come ha sottolineato l’economista olandese Michiel de Nooji, nessuno considera mai l’ipotesi del flop, che dopo tanto impegno profuso nella competizione per ottenere i giochi, alla fine se li aggiudichi un’altra città: se l’Olanda si aggiudicasse le Olimpiadi 2028, dovrebbe incassare almeno 557 milioni soltanto per essere sicura di coprire i costi della candidatura.
Il comitato per Roma 2024 infatti non scende nei dettagli e si limita a evocare, “Roma ha un grande sogno: regalare al proprio Paese e al mondo lo spettacolo di un’Olimpiade e Paralimpiade unica e straordinaria”. Nel 2011 la commissione guidata dall’economista Marco Fortis, oggi consulente del premier Matteo Renzi, stimava che per Roma 2020 i costi sarebbero stati questi: 2,5 miliardi per l’organizzazione, 2,8 per le infrastrutture sportive, 4,4 per le infrastrutture di trasporto. In totale 9,7 miliardi, ma era prima che Londra 2012 segnasse un nuovo record a 12,3 miliardi di euro a fronte di un budget di candidatura, nel 2005, di 3,3. A Roma, poi, la situazione delle infrastrutture è sempre più complessa: la società che costruisce la Metro C (l’infinita terza linea che, per poche fermate lontane dal centro, ha già speso 2,2 miliardi di euro), il 15 dicembre ha sospeso i lavori per i mancati pagamenti dal Comune minacciando che così “si rischia di vanificare la possibilità di collegamento con lo Stadio Olimpico a supporto della candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2024”. È chiaro che se arrivassero i giochi, ci sarebbe una ragione, e una pressione, per aumentare la spesa pubblica, per ricompattare quel tessuto di imprese grandi e piccole che vivono di appalti oggi un po’ ferme a causa dell’inchiesta su Mafia Capitale e del commissariamento del Comune di Roma.
Per questo i Radicali, come la Sinistra del candidato sindaco Stefano Fassina (ex Pd), propongono il referendum: servono 1.000 firme per presentare il quesito, l’ammissibilità decisa dal Comune e poi 28 mila altre firme per ottenere la consultazione.
 
Nel dubbio di solito i cittadini non rischiano
A Novembre ad Amburgo i cittadini si sono espressi: il 51,7 per cento ha detto no ai giochi del 2024, quelli che Roma chiede, a Boston il movimento di opposizione ha denunciato il budget previsto da 14 miliardi di dollari e ha costretto il sindaco della città Martin J. Walsh a ritirare la candidatura. Sui giochi del 2012 a Cracovia e Monaco i referendum popolari hanno detto no, a Oslo gli elettori erano favorevoli ma poi il Parlamento ha ritirato la candidatura per i costi troppo alti. Solo a Vancouver, in Canada, il referendum del 2003 ha avuto esito positivo e la città ha poi ottenuto l’assegnazione dell’evento sportivo nel 2010. Chissà i romani cosa ne pensano. E chissà se la campagna elettorale per l’elezione del sindaco sarà centrata proprio sulle Olimpiadi. Il responso sulla candidatura, se confermata, arriverà infatti al nuovo inquilino del Campidoglio, nel 2017.