il Giornale, 5 gennaio 2016
L’umorismo molto scorretto di BoJack Horseman, il cartone di Netflix che sa bene come ridicolizzare i cliché della nostra società
«La famiglia è un abisso. Il lieto fine è una cosa inventata da Steven Spielberg, per vendere biglietti. È come il vero amore, le Olimpiadi di Monaco, sono cose che non esistono nel mondo reale». A parlare è BoJack Horseman, un cavallo antropomorfo, un tempo famoso per la sit-com Horsin’ Around e oggi quasi dimenticato, protagonista della geniale serie a cartoni prodotta da Netflix e arrivata alla terza stagione (sarà trasmessa nel 2016). A essere sbeffeggiato è il mondo hollywoodiano, ma anche quello editoriale, dove una ghost writer è incaricata da un famoso editore sull’orlo del fallimento (un pinguino della Penguin) di scrivere un’autobiografia di BoJack, per rilanciarlo nello star system. Tuttavia non è solo questo, perché la fantasia del creatore, Raphael Bob-Waksberg, non risparmia niente e nessuno. BoJack è egoista, ricco, menefreghista, sfaticato, così alcolizzato (manda giù, appunto, dosi da cavallo) che quando il barista per aperitivo gli serve solo una vodka risponde: «Cos’è? Ora di colazione?». Non un cartone per bambini (ma i bambini oggi la sanno più lunga degli adulti), pieno di riferimenti colti e irriverenti, politicamente scorretti a trecentosessanta gradi, sulla strada già battuta, per esempio, dai Simpson e dai Griffin, sui quali ormai vengono scritti saggi e tesi universitarie. Cosa hanno in comune BoJack Horseman, Homer Simpson e Peter Griffin? Dipendenti dall’alcol e dal cibo, sinceri senza limite di gaffe, eticamente non buoni né cattivi, opportunisti ma anche, al bisogno, altruisti, rappresentano perfettamente l’individuo nella società occidentale moderna, ossia ognuno di noi.
È singolare, piuttosto, come la comicità più intelligente, graffiante e liberatoria, passi ormai attraverso le serie animate americane, strepitose nel ridicolizzare i cliché sociali e fungere da antidoto ai tanti moralismi imperanti che ti dicono come vivere, cosa mangiare, cosa bere, perfino chi amare. Eroi disegnati che hanno però una tradizione solida di comici in carne e ossa, molto diversi dai nostri irrimediabilmente impelagati nel facile comizio politico (come se ce ne fosse bisogno, i politici italiani sono già la satira di se stessi). Basti confrontare cosa fanno negli Stati Uniti comici della stand-up comedy come Louise C.K. o Ricky Gervais (e in passato il grande Bill Hicks), mentre noi ancora oggi ci sforziamo di ridere con Crozza o la Littizzetto che fanno l’ennesima battuta su Berlusconi o sull’altezza di Renato Brunetta. Uno bravo ce l’avevamo, si chiama Daniele Luttazzi, ma saltò fuori che aveva copiato pari pari dai suddetti americani, inclusi i punti e le virgole, e il plagio è stata la sua opera migliore, esistenzialmente tragicomica. Un altro, Beppe Grillo, faceva talmente poco ridere nella satira politica che ha fondato un movimento politico (dove a far ridere sono i grillini eletti in parlamento ogni volta che aprono bocca).
Intanto a Natale, tanto per non farsi mancare niente, mamma Rai ha propinato i Dieci Comandamenti commentati e recitati da Roberto Benigni (il quale ha anche nel repertorio l’elogio della Costituzione Italiana e la lettura della Divina Commedia, e pensare che da giovane era comunista), e sembrava la programmazione festiva di un oratorio per generali in pensione. Per riprendersi bisogna andare su YouTube e vedersi la versione dei Dieci Comandamenti di un altro genio statunitense purtroppo scomparso, George Carlin. Dissacrante sulle religioni, l’ambientalismo, l’ipocrisia di ogni buonismo, è uno che Fabio Fazio non avrebbe mai invitato (mica è Letterman).
In fondo la vita è drammatica, senza lieto fine, ma televisivamente è anche bella, nonostante Benigni: è sufficiente cambiare canale e attaccarsi a Netflix, dove con un solo abbonamento sono consentiti ben cinque account da dividere con gli amici, e quindi costa molto meno del canone Rai. Che adesso dobbiamo continuare a pagare nella bolletta della luce, e questo non fa ridere per niente. Il prossimo discorso di fine anno? Se al posto di Mattarella lo facesse BoJack Horseman direbbe sicuramente qualcosa di interessante.