il Giornale, 5 gennaio 2016
Quel Koons a Firenze, che forse rimarrà per sempre in piazza della Signoria (anche se non c’entra niente)
Ci voleva Oriana Fallaci. Ci voleva l’erinni della trilogia rabbiosa e orgogliosa per mettere al loro posto i liquidatori dell’identità fiorentina che dopo aver piazzato Jeff Koons in piazza della Signoria vogliono lasciarcelo per sempre. Lei così superba nello sdegno, così perfetta nell’aggettivazione come quando definì «sgomentevole» l’allora sindaco Leonardo Domenici, colpevole di aver sostenuto il progetto dell’architetto giapponese Isozaki mirante a deturpare gli Uffizi con una «orrenda tettoia». Ci voleva Oriana Fallaci ma Oriana Fallaci non c’è più e adesso tocca a noi combattere contro «un cartoccio pretenzioso scopiazzato da Bernini» (Angelo Crespi), «una follia cromata e dorata con un giallo che Firenze tutta bianca e nera ignora fin nell’intimo» (Pierfrancesco Listri), «un gadget di lusso, guarnito di ciclamini come il più delizioso dei centrotavola» (Tomaso Montanari), «una caramella, un soprammobile» (Vittorio Sgarbi).
L’antefatto è il seguente: nel settembre scorso in piazza della Signoria, a pochi metri se non pochi centimetri dai capolavori medievali e rinascimentali di Arnolfo di Cambio, Bartolomeo Ammannati, Giambologna, Benvenuto Cellini, e dalla copia marmorea del David di Michelangelo, viene collocata una statua in acciaio inox alta più di tre metri dell’artista americano Jeff Koons, intitolata Pluto and Proserpina siccome dichiaratamente ispirata al Ratto di Proserpina di Gian Lorenzo Bernini (mentre la congiunzione «and» al posto della congiunzione «e» è non dichiaratamente ispirata al colonialismo culturale di cui Koons è portavoce e il Comune di Firenze zelante collaboratore). Nel trionfalistico comunicato stampa il curatore Sergio Risaliti, già cantore di quel Michelangelo Pistoletto che nel piazzale di Porta Romana ha inflitto a Firenze un altro mostro d’artista, non riesce a escogitare concetti più nuovi di quelli del confronto e del dialogo, polverosi e noiosi come un discorso di Sergio Mattarella. Il comunicato ricorda che non si mettevano nuove statue davanti a Palazzo Vecchio da ben 500 anni: come dire che la lacuna andava colmata. Meglio non ricordare a Risaliti che non da cinque bensì da sette secoli non vengono effettuate aggiunte alla Piazza dei Miracoli, cercherebbe di convincere il sindaco di Pisa ad affiancare alla Torre Pendente un grattacielozzo storto di Zaha Hadid per stimolare «il confronto e il dialogo».
Ormai siamo nel 2016 e la brutta statuina (nonostante le dimensioni ha un che di rattrappito) è ancora lì, forse per dimostrare la costante validità dell’aforisma di Prezzolini: «In Italia nulla è stabile, fuorché il provvisorio». Per giunta adesso c’è chi briga affinché ci rimanga per sempre. Ovviamente fra costoro spicca Risaliti che delle innumerevoli critiche se ne impipa perché secondo lui l’arte contemporanea inizialmente viene capita da pochi e poi col tempo viene accettata da tutti. Sono due menzogne: il pisciatoio di Duchamp, per quanto epocale e intellettuale, io non lo accetto ancora, sono passati cento anni e mi repelle come il primo giorno; l’avversione verso Pluto and Proserpina non è un’esclusiva dei passatisti ma accomuna molti cultori e artefici dell’arte più attuale. La critica più profonda al Koons fiorentino viene da Nicola Verlato, che è più giovane di Risaliti e anche più americano, vivendo da parecchi anni a Los Angeles. Il direttore di Artribune, Massimiliano Tonelli, ha lanciato nelle settimane scorse un appello al sindaco Nardella perché la statua rimanga in loco, con le solite nichilistiche motivazioni: per svecchiare, contaminare, mettere in discussione Michelangelo (ma perché, mi domando, anziché mettere in discussione la bellezza non si mette in discussione la bruttezza, ad esempio il Palazzo di Giustizia di Novoli?). Verlato, eccellente pittore ben radicato teoricamente, gli ha appena risposto dimostrando il disvalore artistico dell’opera, non frutto di ispirazione bensì volgare riproduzione («Non del Bernini della Galleria Borghese ma di una porcellana francese di tardo Settecento»), con una lucidatura a specchio che produce una quantità di riflessi tale da annullarne il valore iconico: «La pretesa celebrazione di un capolavoro del passato diviene invece la sua disintegrazione».
La Fallaci non avrebbe potuto dire meglio, purtroppo però Verlato non è un bestsellerista e la sua presa di posizione rischia di rimanere nell’ambito degli addetti ai lavori. Il ben più mediatico Vittorio Sgarbi non ha voglia di fare barricate e propone una molto ragionevole soluzione intermedia: «Ciò che in piazza della Signoria rappresenta una forzatura in una rotatoria starebbe bene, ad esempio davanti Porta al Prato». Sperando, aggiungo io, che lo smog produca in fretta la patina necessaria per mimetizzare la statua postmoderna con la porta dugentesca. Più facinoroso e quindi davvero fallaciano è Tomaso Montanari: «Fosse vero, che Koons rimarrà in piazza per sempre, i responsabili andrebbero appesi al pennone del balcone soprastante».