il Giornale, 5 gennaio 2016
Sul doggy bag che in Italia non prende piede
Dapprincipio fu il cane. Ignaro destinatario degli avanzi delle cene al ristorante secondo la moda americana. «Doggy bag» viene un po’ ipocritamente definita la busta con il cibo non consumato, che quasi sempre non finisce poi nella ciotola di Fido ma – previo adeguato riscaldamento del microonde – nei piatti degli umani per pranzi e cene a costo zero. È capitato a molti di noi in vacanza negli States di rifiutare con sdegno l’offerta dei camerieri ansiosi di una buona mancia di fornirci mentre stavamo per metterci il cappotto una bustina contenente la mezza bistecca rimasta nel piatto, la fetta di pizza scartata, quel po’ di insalata non gradita, e di ricevere dagli stessi uno sguardo quasi offeso. Perché «doggy bag» rifiutata uguale pasto non piaciuto.
Già, perché negli Usa la «borsetta per il cane» è un’istituzione, complici una visione più informale della cena al ristorante, una concezione più business oriented di ogni nostro gesto (per noi il mangiare è un atto politico, per loro economico) e soprattutto porzioni assai più generose e quindi generatrici di avanzi più copiosi. Fatto sta che qualche tempo fa Michelle Obama in persona in Italia richiese la schiscetta presidenziale dopo una cena di assaggi di primi italiani evidentemente troppo abbondanti. Da noi invece l’abitudine non ha mai davvero attecchito: perché non si fa, perché da poveracci, perché pare brutto, perché volgare. Ma siamo sicuri che le cose non cambierebbero se i camerieri e i ristoratori ci offrissero con convinzione di portarci via una merce che abbiamo comunque pagato?Un problema che da noi ancora non si pone, ma che dal 1° gennaio angoscia invece i cugini francesi, che condividono con noi una concezione quasi sacrale della visita al ristorante. A Parigi dal 1° gennaio il ristoratore non potrà più rifiutarsi di impacchettare al cliente il resto della cena; una novità che riguarda i locali con almeno 180 coperti e che nelle intenzioni del governo francese dovrebbe contribuire a dimezzare nel giro di qualche anno gli sprechi alimentari che Oltralpe ammontano a circa un milione di tonnellate l’anno. Un obiettivo commendevole, che però non manca di dividere l’opione pubblica francese tra fautori convinti (mais oui!), possibilisti (pourquoi pas?) e impossibilisti (quelle horreur). Il tutto mentre i ristoratori più intraprendenti stanno già facendo di necessità virtù escogitando packaging ad hoc che trasformino una grana in una opportunità di business e di pubblicità.
E da noi? La curiosità se l’è fatta venire la Coldiretti, immarcescibile indagatrice delle abitudini degli italiani a tavola e al supermercato. Secondo un sondaggio condotto da Ixè per conto dell’associazione, il 20 per cento dei nostri connazionali ha già preteso la «doggy bag» in almeno un’occasione. Resta però prevalente l’opinione di chi ritiene l’atto volgare o poco educato (circa il 25 per cento). Il resto degli italiani si divide tra chi non saprebbe cosa farsene (magari prende la definizione alla lettera e invece che il cane a casa ha un gatto), tra chi non si è mai posto il problema e tra i nostri preferiti, quelli che non contemplano proprio la possibilità di lasciare qualcosa nel piatto. I veri campioni del «non spreco» sono loro, che ammontano al 28 per cento degli intervistati.