Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  gennaio 05 Martedì calendario

Quando la censura fascista non guardava in faccia neppure ad Agatha Christie

«Ha vissuto a lungo in America», osservò Bouc, «ed è italiano. Gli italiani usano il coltello, e sono dei gran bugiardi! Non mi piacciono gli italiani». La censura fascista non guardava in faccia neppure ad Agatha Christie, peraltro figlia di Albione. E una frase così non poteva superare le maglie della «Commissione per la Bonifica Libraria» voluta dal Duce e dal Minculpop. Ma la capillare espulsione di riferimenti a presunte caratteristiche poco nobili della tempra italica è solo uno degli aspetti del lavoro di «traduzione politica» cui furono sottoposti migliaia di titoli stranieri immessi sul mercato. Tra questi, è mediamente noto il caso di Murder on the Orient Express, il capolavoro della celeberrima giallista scritto a Istanbul e pubblicato prima a puntate sul Saturday Evening Post nel ’33 e quindi in un libro l’anno successivo. In Italia arriva l’anno dopo (1935), per i tipi di Mondadori e la traduzione di Alfredo Pitta. Il primo ritocco è al titolo, reso monco e sterile: Orient Express. Se è appunto piuttosto risaputa l’opera censorea, a rivelare minuziosamente tutti i 446 adattamenti applicati al romanzo arriva la tesi di Daniela Battarin, laureatasi alla Statale di Milano (Corso di Laurea Magistrale in Lingue e Culture per la Comunicazione e la Cooperazione Internazionale) con l’elaborato «Assassinio sull’Orient Express: traduzione e censura in Italia ai tempi del fascismo», relatrice professoressa Giuliana Garzone. L’aspetto più interessante è l’elenco completo dei rimaneggiamenti: alcuni coerenti con l’ideologia nazionalista del regime (i nomi propri italianizzati), altri quasi surreali nell’interpretarla, alcuni quasi inspiegabili o che arrivano ad alterare chiaramente il percorso logico voluto dall’autrice. Il romanzo è il numero 127 della popolare collana «I Libri Gialli» della Mondadori, casa editrice in rapporto dialettico con il fascismo proprio sul nodo politico del rapporto con gli autori e i testi stranieri. Per la notorietà dell’autrice e del volume, destinato a diventare uno dei libri più venduti a livello mondiale, l’Orient Express è un capitolo particolarmente significativo per comprendere le preoccupazioni in vigore all’epoca. Dei nomi si è detto: Hercule Poirot diventa Ercole, eccetera. Tutti gli intercalare francesi che la Christie inframmezzava all’inglese dell’investigatore («Eh bien», «monsieur», «voilà» eccetera) vengono rigorosamente convertiti in «Ebbene», «signore», «ed ecco». Il «voi» soppianta il «lei». Ma è nelle vicende che implicano riferimenti diretti alle nazionalità che la censura si applica con maggior zelo. Il passaggio originale: «He departed. Poirot looked at his friend. He has been a long time in America», said M. Bouc, «and he is an Italian, and Italians use the knife! And they are great liars! I do not like Italians», subisce addizioni e pesanti sottrazioni, così il lettore italiano si trova a leggere: «Dopo di che Pereira se ne andò scrollando melanconicamente la testa. Poirot guardò il suo amico interrogativamente. È stato a lungo negli Stati Uniti – osservò in tono significativo Bouc». A dir poco edulcorato anche il passaggio in cui un agente chiede a un testimone la ragione di una menzogna detta alla polizia: «Business reasons. Besides, I do not trust the Yugoslav police. They hate the Italians. They would not have given me justice». «Perhaps it is exactly justice that they would have given you! No, no, I had nothing to do with this business last night. I never left my carriage. The long-faced Englishman, he can tell you so. It was not I who killed this pig – this Ratchett. You cannot prove anything against me» diventa: «Ero spaventato... Ma intendiamoci, io non c’entro con la faccenda di questa notte. Non sono mai uscito dal mio scompartimento, e l’inglese lo può attestare. No, non sono stato io ad uccidere quel furfante... quel Ratchett, voglio dire. E lei non potrà dimostrare il contrario... naturalmente». Più sottili gli interventi storico culturali: «La Sainte Sophie, it is very fine, said Lieutenant Dubosc, who had never seen it» diventa: «La moschea di Santa Sofia è bellissima – affermò il tenente, che mai aveva vista l’antica cattedrale cristiana». La correzione più incomprensibile è un treno che dovrebbe arrivare a Istanbul alle 6.55 ma, in omaggio a un oscuro dettame dell’estetica dei convogli puntuali, viene spostato alle 7.40. Sfumate, in pieno stile velinesco, l’espressione «mafia» e le morti violente: un morto suicida svanisce «in una escursione nel deserto», un aborto naturale (letale anche per la madre) si trasforma in una malattia che si porta via mamma e figlia, il personaggio negativo Cassetti (di chiare origini italiane) diventa un più forestiero O’Hara, mentre al posto del moro Antonio Foscarelli, «typical Italian face», ecco Manuel Pereira, «di tipo schiettamente sud-americano, abbronzato e sorridente». Incredibile la pignoleria pro-italiana. La frase: «Evidence against him or suspicious circumstances: none, except that weapon used might be said to suit his temperament» finisce castrata così: «Prove a suo carico , o circostanze sospette: nessuna».