Libero, 5 gennaio 2016
Ilaria Cucchi è riuscita a sfracassare le scatole anche Filippo Facci, il più robusto dei garantisti
Si tratta di spiegare ciò che è indelicato spiegare, cioè quanto Ilaria Cucchi sia riuscita a sfracassare le scatole anche al più robusto dei garantisti, col rischio serio che tuttala sua battaglia – che non appartiene solo a lei – finisca in malora. È brutto da dire, ma ha stufato lei e ha stufato anche quella foto del fratello mummificato che si porta dietro come una coperta di Linus, quella foto riproposta milioni di volte e che è divenuta un feticcio e un lasciapassare per le pagine della cronaca. A quella foto si deve tutto: nel tardo ottobre 2009 la notizia sui maltrattamenti a Stefano Cucchi era disponibile da giorni, snobbata dai più, ma d’un tratto spuntarono le foto: ed ecco che i grandi quotidiani si avventarono su una notizia che già c’era, «Morto dopo l’arresto, diffuse le foto shock» titolò per esempio il Corriere, purché fosse chiaro che la notizia non era «Morto dopo l’arresto» bensì «diffuse le foto shock». Il destino delle immagini ormai è questo: riesumare delle notizie di cui ai giornalisti altrimenti non sarebbe fregato niente. Quelle immagini furono dirompenti, perché la loro eloquenza baipassò qualsiasi valutazione di tipo medico o periziale: qualcosa era successo, lo pensiamo tutti ancor oggi. Viva quelle foto, dunque. Ma anche basta.
Nei giorni scorsi – l’avete già letto – Ilaria Cucchi è riuscita a far incazzare persino i giornaloni più moderati, quelli che prima di muoverle un rilievo ogni volta premettono per ottanta righe che lei «chiede soltanto la verità», come se altri – compresi noi, e la magistratura, e le forze dell’ordine per bene – chiedessero menzogne. La Cucchi ha pubblicato su Facebook la foto di uno dei carabinieri indagati (in costume da bagno e addominali in vista, sorta di indizio di colpa) e l’ha data in pasto al qualunquismo mascherato della Rete: e del teatrino che ne è minali in bella vista, ormai le palestre sono diventate un’aggravante. Nota personale: nel 1996 pubblicai un intero libro dedicato per buona parte a maltrattamenti subiti da gente incarcerata: ma di tecniche di comunicazione, evidentemente, non capivo nulla. Ieri mattina, per capirci, Ilaria Cucchi era stata invitata a un talkshow: forse ha ragione lei.
E aveva ragione, forse, anche quando divenne inviata di Raitre per un programma di prima serata: del resto la sua professione precedente era amministratrice di condominio. Ma sin lì si poteva anche capire: occorre avere rispetto di chiunque cerchi a suo modo di sfangarla. La notorietà di Ilaria Cucchi era e resta dovuta alla sua campagna mediatica per Stefano: è per questo che Ingroia la candidò alle politiche, è per questo che la presero per un breve periodo a Raitre. E ci va anche bene, comunque sia finita. È lecito chiedersi, però, sin dove possa arrivare l’eterno rilancio del caso Cucchi.
Da garantista, Ilaria Cucchi io la ringrazio. Il suo attivismo, sgangherato ma pervicace, penso abbia contribuito a far emergere altri casi paragonabili a quello del fratello. Ci hanno fatto dei libri, dei documentari, su wikipedia si segnalano venti brani musicali dedicati a Stefano. E il punto non è alzare il sopracciglio di fronte all’attivismo discutibile di Ilaria Cucchi, il punto è che la sua missione è riuscita. Da tempo. La sua missione non consisteva nel mettere alla gogna o in galera chi pensa o pensava lei, ma nel rimettere il caso Cucchi nei doverosi binari giudiziari cui era destinato: senza le inerzie che purtroppo caratterizzano migliaia di altri casi non propriamente al centro dell’attenzione mediatica. Ci è riuscita. Da tempo. In parte ha gettato un faro sulle carceri. Ma non è che la campagna per suo fratello possa diventare una professione a vita, non è che possa lottare per la «verità» fottendosene della verità giudiziaria e sino al giorno in cui non vadano in galera tutti i carabinieri con gli addominali scolpiti, e segnatamente da lei indicati. Ancor oggi, giornali e televisioni – pur stufi, e si vede – ogni tanto ripompano il caso Cucchi come se l’inchiesta e il processo non si fossero mai fatti: mancava la Cassazione, ma a dicembre ha sancito che debbano andare a processo anche alcuni medici precedentemente assolti. Insomma, si va avanti, ma a Ilaria non basta. Nel Paese in cui le sentenze peggiori spesso sono sbattute sui giornali, Ilaria verga le sue: e senza elaborarne granché le motivazioni. Ieri Ilaria ha scritto: «Non è stata una scelta dellafamiglia Cucchi, quella di essere processata insieme al loro caro per sei anni». Bugia. Vittimismo. Se processo c’è stato, è stato di beatificazione. Perché la gente – come i giornali – è volubile, giudica e assolve e condanna in fretta. E Ilaria Cucchi sta facendo molto, sta facendo di tutto per passare dall’altra parte della vetrina.