La Stampa, 5 gennaio 2016
Zuckerberg vuole un maggiordomo robot per sua figlia
Uno potrebbe liquidare l’ultima uscita di Mark Zuckerberg come un serio problema limitato ai maggiordomi. Il fondatore di Facebook, infatti, ha annunciato che il suo proposito per l’anno nuovo è creare un robot, che lo aiuti a casa e sul lavoro. Dietro però non c’è solo il desiderio di imitare l’Alberto Sordi di Io e Caterina, ma la sfida globale già in corso sul ruolo che l’intelligenza artificiale avrà nelle nostre vite.
Cominciamo dall’annuncio, che naturalmente è avvenuto attraverso un post su Facebook. Zuckerberg ha detto che ogni anno si pone una sfida personale, come quella realizzata di imparare il mandarino, e nel 2016 si dedicherà a «costruire un semplice strumento di AI (intelligenza artificiale) per gestire la mia casa e aiutarmi col lavoro. Immaginate Jarvis di Iron Man». Ha spiegato che inizierà «esplorando le tecnologie esistenti. Poi gli insegnerò a riconoscere la mia voce e controllare tutto nella nostra casa, musica, luce, temperatura, eccetera. Lo istruirò per far entrare gli amici, riconoscendo le loro facce quando bussano al campanello. Gli insegnerò ad informarmi se nella stanza di Max (la figlia neonata di Zuckerberg) sta accadendo qualcosa che io debbo controllare, quando non sono con lei». Quindi Zuckerberg chiederà al suo maggiordomo digitale di aiutarlo sul lavoro, ad esempio «visualizzando i dati che mi servono in VR».
I contrari
Preso fuori contesto, questo annuncio può sembrare l’estroso sfizio di un personaggio originale, che ha tempo e soldi da perdere per costruirsi un robot con cui giocare. Circa un anno fa, però, altri personaggi originali e certamente arguti, come Bill Gates, Stephen Hawking e il fondatore di Tesla Elon Musk, avevano lanciato un messaggio diametralmente opposto. Il grande fisico britannico aveva avvertito che l’intelligenza artificiale potrebbe portare alla «fine della razza umana». Il fondatore della Microsoft, che peraltro agli inizi aveva sottovalutato anche la portata di Internet, aveva aggiunto che è potenzialmente «più pericolosa delle armi nucleari». Il costruttore di Tesla e Space X si era spinto a definirla come «la nostra minaccia esistenziale più grande. La posizione dell’umanità sulla Terra dipende dalla nostra intelligenza: se verrà superata, è improbabile che resteremo alla guida del pianeta». L’incubo, in altre parole, era quello di HAL, il computer di 2001 Odissea nello Spazio, che ad un certo punto decide di liberarsi degli esseri umani perché minacciano la sua sopravvivenza. Meno cinematografica, ma altrettanto drammatica, è la preoccupazione di chi invece teme di perdere il posto di lavoro a causa dei robot.
Davanti a questi incubi si presenta Zuckerberg, promettendo di costruire uno strumento di intelligenza artificiale che faccia persino da babysitter alla sua amatissima Max. Una sfida assoluta sulla fiducia nei robot, e il ruolo che avranno nelle nostre vite.
La sfida in realtà era stata già raccolta da Musk, che all’inizio di dicembre ha annunciato la creazione di OpenAI, ossia un investimento da un miliardo di dollari fatto in collaborazione con personaggi tipo Peter Thiel, Sam Altman e Jessica Livingston di Y Combinator, e Reid Hoffman, per sviluppare una intelligenza artificiale a misura d’uomo, ossia in grado di aiutarci senza minacciarci. Ricerca aperta, nonostante i probabili usi e segreti commerciali, proprio perché tutti sappiano dove porta.
Qualche anno fa Marvin Minsky, il pioniere dell’AI al Massachusetts Institute of Technology, mi aveva detto in un’intervista che chi aveva paura dei robot non sapeva di cosa parlava. Ora abbiamo superato quella frontiera: tutti sanno che l’intelligenza artificiale avrà un ruolo nel nostro futuro, ma per fortuna stanno lavorando affinché non sia un incubo.