la Repubblica, 5 gennaio 2016
La rivoluzione del Nobel parte dall’Economist
«Se si vuole che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi». L’Economist prende a prestito la celebre frase del “Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa per rilanciare la discussione sulla inadeguatezza dei premi Nobel. Già, perché non è la prima volta. Due anni fa, nell’ottobre 2013, proprio nei giorni in cui l’Accademia delle scienze annunciava i riconoscimenti più ambiti e prestigiosi del mondo, il settimanale britannico sottolineava i malumori della comunità scientifica nei confronti dei meccanismi che regolano l’assegnazione del premio in seno all’Accademia stessa. Da una parte c’è il problema delle omissioni: scienziati che avrebbero meritato il premio e sono stati misteriosamente “dimenticati”. Tra i casi più clamorosi i Nobel negati “al femminile”. Come quello mancato di Lise Meitner per la scoperta della fissione nucleare, e che fu assegnato al solo Otto Hahn nel 1944. O come il premio per la medicina solo sfiorato da Rosalind Franklin, con James Watson e Francis Crick, per la scoperta della doppia elica del DNA.
Poi ci sono addirittura scoperte epocali per cui non è stato assegnato il Nobel. Una su tutte, la relatività di Einstein. Il fisico tedesco che Time ha nominato persona del secolo per il Novecento fu infatti premiato per aver spiegato l’effetto fotoelettrico e, genericamente, «per i suoi contributi alla fisica teorica».
Ma non è finita qui. Molti scienziati sono critici per la lentezza con cui viene assegnato il premio. E in effetti nel 1895, quando lasciò le sue volontà, Alfred Nobel specificò che il riconoscimento doveva essere assegnato per scoperte realizzate l’anno prima. Basta guardare ai Nobel per la medicina di quest’anno, attribuiti per scoperte di almeno quarant’anni fa e il cui impatto sulla salute umana era noto da decenni. È arrivata prima l’evoluzione, con la resistenza ai farmaci, del comitato Nobel.
Ci sarebbe ancora la questione del limite dei tre premiati, che impedisce di gratificare le grandi collaborazioni della Big Science, anche se nel 2015 il comitato ha dato il Nobel per la fisica ai capi dei gruppi che hanno verificato sperimentalmente l’oscillazione del neutrino. E non apriamo per carità di patria il libro delle polemiche che seguono quasi sempre il Nobel per la letteratura, con grandi assenti come Auden e Borges, e quello per la Pace, nella cui lista figurano personaggi controversi ma manca il Mahatma Gandhi.
L’Economist si sofferma poi su una questione fondamentale per le materie scientifiche. Le categorie del Nobel sono obsolete. Fisica, chimica e medicina non bastano più per descrivere la complessità della scienza di oggi, tanto che spesso sia in chimica sia in medicina vengono premiate scoperte di interesse biologico, mentre a volte i chimici sono stati premiati con il Nobel per la fisica. Per adeguare il premio alla scienza del XXI secolo, dunque, bisognerebbe aumentare il numero delle discipline premiate.
Ma già l’introduzione del Nobel per l’economia, nel 1969, è risultata indigesta a molti. E poi i nuovi premi graverebbero su un bilancio tutt’altro che prospero. Il valore dei premi, nota il settimanale, si è eroso nel tempo, passando da circa 25 volte lo stipendio medio di uno scienziato a 10. E i riconoscimenti istituiti dai filantropi dei giorni nostri sono più ricchi del Nobel. Si va dai tre milioni di dollari del Breakthrough Prize, assegnato per la fisica, la matematica e le scienze della vita e finanziato tra gli altri da Sergey Brin e Mark Zuckerberg, al milione del norvegese Kavli Prize per l’astrofisica, le nanotecnologie e le neuroscienze.
Insomma, a Stoccolma potrebbero essere a un bivio. E dover ripensare il Nobel per continuare a garantirne la fama e il prestigio. Ma forse no. In fondo, come tante istituzioni di grande tradizione, il Nobel vive della continuità, ed è il Nobel anche per le critiche che lo accompagnano.
E se il grande pubblico difficilmente conosce il Kavli o il Breakthrough, o si ostina a chiamare “Nobel per la matematica” la Medaglia Fields, una ragione ci sarà.
Perciò c’è da scommettere che a ottobre saremo tutti con il fiato sospeso all’annuncio dei nuovi Nobel. Anche senza che nulla sia cambiato.