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 2016  gennaio 05 Martedì calendario

Le monarchie sunnite sono tutte con l’Arabia Saudita

Le monarchie sunnite del Golfo fanno quadrato attorno all’Arabia Saudita e, anche se con misure differenti, la seguono nello scontro frontale con il nemico comune, la superpotenza regionale sciita, l’Iran. Dopo l’annuncio di Riad, che dava ai diplomatici iraniani «48 ore» per lasciare il Paese, nella tarda mattinata di ieri è stato il regno del Bahrein a seguire con più convinzione la linea dura, con la rottura immediata delle relazioni diplomatiche. E il piccolo Stato in mezzo al Golfo persico, monarchia sunnita che governa una popolazione a maggioranza sciita, è il nuovo punto caldo nel scontro brutale fra le due correnti dell’Islam.
Più prudenti gli Emirati Arabi Uniti, che hanno richiamato l’ambasciatore a Teheran e ridotto lo status della propria rappresentanza diplomatica in Iran. Il Qatar, ieri pomeriggio, non aveva ancora preso una decisione, mentre è improbabile che l’Oman, tradizionalmente equidistante, segua gli alleati del Consiglio di cooperazione del Golfo, la struttura regionale che ruota attorno all’Arabia saudita.
Sostegno netto a Riad è arrivato invece dal più lontano Sudan che in passato è stato alleato di Teheran. Khartoum ha espulso l’ambasciatore iraniano e soprattutto sta dando un grosso contributo in uomini e mezzi nella guerra che l’alleanza sunnita conduce nello Yemen contro i ribelli sciiti Houti. Riad, in cambio, fornisce aiuti finanziari. Dall’Egitto, la massima autorità religiosa, il teologo sunnita Ahmed al-Tayyeb, dell’Università al-Azhar ha affermato che «non bisogna interferire con Riad» e dal Pakistan il consiglio islamico ha dichiarato che le scelte saudite «aiutano l’Islam e i musulmani».
In più la Lega Araba convocherà domenica una riunione di emergenza e il suo numero due, Ahmed Ben Helli, ha affermato che l’obiettivo è «condannare le interferenze iraniane negli affari arabi».
Gli schieramenti ricalcano quelli della guerra per procura in Yemen, ma questa volta Riad e Teheran rischiano di scontrarsi in Bahrein, dove ieri mattina violente manifestazioni hanno squassato i sobborghi della capitale Manana, come Sitra, con 400 manifestanti che si sono scontrati con la polizia, e nelle cittadine di Duraz, e Bilad al Qadim. Il ministero degli Interni ha accusato Teheran di «fomentare» i disordini e ha annunciato misure contro chiunque «ridicolizzi il sistema giudiziario saudita» in quanto il regno ha tutto il diritto di «mantenere la propria sicurezza con i mezzi ritenuti adeguati».
Le preoccupazioni in Occidente sono altissime, soprattutto negli Stati Uniti, che hanno nel Bahrein la base più importante della loro Quinta Flotta. E all’Onu, che ha mandato l’inviato speciale per la Siria Staffan de Mistura in missione riservata, prima a Riad e poi a Teheran.
La durezza del Bahrein si spiega nella storia recente, e nella composizione sociale e religiosa del Paese. Il re del Bahrein Hamad bin Isa al Khalifa ha condotto riforme in senso più liberale ma è rimasto scottato dalla rivolta sciita del febbraio-marzo 2011, sull’onda delle primavere arabe. Rivolta del 2011 che fece ufficialmente tre morti e centinaia di feriti che il re riuscì a reprimere solo con l’aiuto di un corpo di spedizione saudita di 5 mila uomini e decine di blindati.
Da allora la monarchia si ritiene bersaglio di un’opera di destabilizzazione sistematica da parte dell’Iran. Sia Riad sia Manama hanno sottolineato che l’esecuzione del religioso sciita Al Nirm è perfettamente «in linea con la sharia», la legge coranica.
E storicamente nel mondo islamico, le correnti sciite hanno avuto caratteristiche «rivoluzionarie». In Bahrein lo sciismo è incarnato dal gruppo ismailita millenarista dei Carmati (Al Qaramitan), forte soprattutto nell’isola di Sitra dell’arcipelago. Il timore dei sovrani sunniti, fin dal tempo del califfato Omayyade, è di essere rovesciati da una «sedizione sciita». E il Bahrein, lo «Stato fra due mari» in arabo, che vede l’Iran appena oltre il Golfo e conta il 65% di cittadini sciiti, sente la minaccia più concretamente dei suoi vicini ed è in totale sintonia con la leadership saudita.
Riad, in più, si sente offesa dalle accuse da parte dell’Iran di essere «sponsor dell’Isis» e degli altri gruppi terroristici sunniti. I media sauditi continuano a sottolineare che fra i 47 «terroristi» giustiziati sabato c’erano «esponenti di spicco di Al Qaeda» e sui siti delle sue ambasciate ha messo online l’elenco dei crimini di cui erano accusati i condannati a morte. Fasail J Abbas, editorialista di puntata di Al Arabiya, ha accusato ieri esplicitamente Teheran di essere «il vero porto sicuro» degli estremisti sunniti che destabilizzano il Medio Oriente, compresi quelli qaedisti.