la Repubblica, 5 gennaio 2016
Marchionne passa il timone a Elkann (dopo il 2018)
Con la separazione del titolo Ferrari da quello di Fca finisce un’era. Non per Maranello ma per il Lingotto. Sembra una coincidenza temporale ma forse non lo è. Il momento della svolta arriva durante la conferenza stampa che segue il rito della campana e l’avvio delle contrattazioni. Sergio Marchionne parla delle prospettive future di Fca dopo la separazione da Ferrari. E spiega: «Adesso dobbiamo concentrarci sul rispetto degli obiettivi che ci siamo dati al 2018. Sono quelli che creano valore per gli azionisti. Poi potremo tornare a pensare alle alleanze. La differenza è che in quel momento io non ci sarò più». La svolta è nei toni e nella sostanza. Il cambio riguarda la prospettiva e anche i rapporti tra l’ad e l’azionista. In pochi minuti, mentre al piano di sopra, nel parterre, l’attenzione è catalizzata dall’andamento dei due titoli, nell’ammezzato di Palazzo Mezzanotte l’amministratore delegato annuncia che non sarà lui a guidare Fca nella grande alleanza con General Motors. Perché «il rispetto degli obiettivi che ci siamo dati al 2018» diventa una condizione per la grande fusione. Una condizione messa dagli azionisti che vogliono creazione di valore. La vogliono certamente gli azionisti di Gm, a partire dai fondi, che non accetterebbero di buon grado l’unione con una società che ha ancora 2 miliardi di debito industriale. Non la accetterebbero nemmeno gli azionisti di Fca, a partire da Exor, che preferiscono chiudere la partita del debito prima di affrontare il dossier della fusione. Marchionne ha sempre sostenuto che con il suo piano quinquennale 2014-2018 i debiti si sarebbero azzerati. E dunque il titolo avrebbe acquistato valore. Ma quando l’ad, l’aprile scorso, aveva lanciato l’idea di una grande alleanza con Gm, si ipotizzavano tempi stretti e due processi paralleli: la fusione da una parte, il piano industriale di Fca dall’altra. Poi sono arrivate le difficoltà, le resistenze, i no dell’attuale board di Gm. Da ieri il quadro è cambiato anche ufficialmente: non saranno gli attuali amministratori delegati delle due società a guidare la fusione ma gli azionisti e chi sostituirà i vertici operativi. A chi gli chiedeva se al prossimo salone dell’auto di Detroit avrebbe incontrato Mary Barra, ad di General Motors, Marchionne ha risposto: «L’ho incontrata recentemente in una riunione a Washington. E penso che non la incontrerò più».
Perché la svolta di sostanza in Fca è che il timone sulle alleanze sta passando dal manager all’azionista, da Marchionne a John Elkann. Come forse è naturale che sia ma come non è stato, né poteva essere, negli ultimi, turbolenti, dieci anni per la giovane età del presidente. Ancora oggi il ruolo dell’amministratore delegato è decisivo per raggiungere l’obiettivo di un bilancio in ordine superando l’eredità dalla fusione con Chrysler. Ma da ieri si sa che, raggiunto lo scopo non sarà Marchionne a compiere il passo successivo.
Al termine della conferenza stampa, a chi gli chiedeva se si sente «come Mosé», l’amministratore delegato ha confermato sorridendo. Nel capitolo 20 del libro dei Numeri, il penultimo dei libri del Pentateuco, si spiega che Mosé, dopo aver condotto per decenni il suo popolo verso la terra promessa, non ci entrerà mai. Al confine del nuovo mondo ha esaurito il suo ruolo di traghettatore. La metafora è certamente irriverente ma ha qualche similitudine con la parabola del manager del Lingotto. Che ha preso la Fiat sull’orlo del fallimento, l’ha salvata una prima volta grazie alla fusione con Chrysler, le ha consentito di reggere l’urto nel deserto della crisi e ora si prepara a concludere il lavoro rendendola libera dai debiti del passato. Pronta per un nuovo mondo in cui il timone sarà nelle mani di John Elkann che ha l’età per poter aspettare anche i tempi lunghi delle trattative con i salotti di Washington ed esaminare le condizioni della nuova amministrazione che succederà a quella di Obama alla Casa Bianca.
Accelerare questo scenario sarebbe stato rischioso, come entrare con un elefante nella cristalleria. Avrebbe voluto dire lanciare un’opa ostile su Gm e tentare la scalata, partendo dall’Europa, a una delle principale aziende private americane. Che nei mesi scorsi qualcuno al Lingotto ci abbia pensato è possibile. Ma è un fatto che all’inizio di dicembre, ad Amsterdam, è stato proprio John Elkann, in conferenza stampa, a tracciare la linea: «Non abbiamo alcuna intenzione di compiere atti ostili nei confronti di Gm».
Che cosa farà Marchionne dopo il 2018, quando avrà compiuto il suo lavoro e lascerà l’incarico? Ieri scherzando l’ad ha risposto che intende fare il giornalista. Più seriamente qualcuno ha fatto osservare che potrebbe rimanere alla guida di Ferrari. Forse non è un caso che la svolta in Fca sia arrivata nel giorno della quotazione della Rossa.