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 2016  gennaio 05 Martedì calendario

In morte di Richard Sapper

Stefano Bucci per il Corriere della Sera
Nel 2014 gli era stato assegnato l’ennesimo «Compasso d’oro», quello alla carriera, l’undicesimo in totale, con una motivazione che ben riassumeva il percorso professionale e in qualche modo anche umano di Richard Sapper, scomparso lo scorso 31 dicembre a 83 anni (la notizia è stata comunicata dalla casa editrice Phaidon che ha in pubblicazione una monografia destinata a celebrare i suoi sessant’anni da designer): «Per aver unito il rigore tedesco e la genialità nel disegnare una moltitudine di prodotti straordinari e di grande successo in ambiti anche molto distanti tra loro».  
Oggetti (dagli orologi alle posate per la tavola, dai condizionatori d’aria al macina pepe) o ancora meglio vere e proprie icone destinate a diventare parte integrante del nostro paesaggio quotidiano più o meno domestico: le lampade «Tizio» (1972) e «Aretusa» (1975) entrambe per Artemide; la caffettiera «9090» (1979) e il bollitore «9091» (1983) tutti e due per Alessi; le sedie della «Sapper Chair Collection» (1979) per Knoll; il sistema di mobili per ufficio «Dalle nove alle cinque» (1987) per Castelli; il computer «Think Pad 700 C» (1992) per IBM; la maniglia «Laser» (1999) per Olivari; la bicicletta «Zoombike» (2000) per Elettromontaggi. 
Accanto a questi progetti firmati da solo, Sapper ha legato fortuna e fama anche alla incredibile e proficua collaborazione stabilita per più di 18 anni con un grande architetto come Marco Zanuso (1916-2001) da cui sono sbocciati (tra gli altri) la radio «TS 502» (1963) per Brionvega più noto come il «Cubo» (per lo stesso marchio avrebbe firmato anche i televisori «Doney», «Algol», «Black» e il registratore «Soundbook»); la sedia per bambini «K-1340» (1963) per Kartell; il telefono «Grillo» (1966) per Siemens. Al tempo stesso Sapper (che ha lasciato traccia del suo lavoro di design nelle bacheche dei musei di tutto il mondo, dal Victoria & Albert di Londra al Moma di New York) è stato idealmente tra le anime creative di Milano e del nostro Paese, tanto che nella motivazione del «Compasso d’oro alla carriera» era stato identificato come premiato «nazionale». Tra le sue collaborazioni eccellenti quella con Gae Aulenti (1927-2012) con cui nel 1972 aveva fondato un gruppo di lavoro per lo studio dei nuovi sistemi di trasporto (uno dei temi preferiti). 
Dopo aver iniziato la carriera nel reparto styling della Mercedes-Benz, il giovane Richard si era trasferito a Milano nel 1958, lavorando prima nello studio di Gio Ponti (1891-1979) poi nell’ufficio design della Rinascente. Innovazione tecnica (specialmente nei materiali) e forme pure: il segreto dei suoi oggetti sta forse tutto racchiuso in questa incredibile combinazione (tra i suoi simboli più efficaci anche «La Cintura di Orione», una bellissima serie di coltelli da carne realizzati nel 2009 ancora una volta per Alessi). «I suoi oggetti hanno fatto capire quanto il buon design non debba essere riconoscibile solo per le sue belle linee ma anche per la sua intelligenza»: così lo ha voluto ricordare il direttore del Design museum di Londra Deyan Sudjic. Una definizione che sarebbe certo piaciuta a Sapper.

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Marco Belpoliti per La Stampa
Due note: un MI e un SI. Fuoriescono dal beccuccio appena il vapore comincia a diffondersi. Avvisano che l’acqua bolle nel contenitore d’acciaio, nome: 9091. Le ha volute Richard Sapper, l’uomo dei dieci Compassi d’oro, uno dei designer più premiati, e insieme meno noti al grande pubblico, anche se i suoi oggetti sono nelle case di molti. Le note gli ricordavano i vaporetti fluviali della giovinezza, in Germania, dove era nato nel maggio del 1932. Quando all’inizio degli Anni 80 propose ad Alessi questo oggetto, Sapper voleva mettere fuori gioco lo sbuffo ansiogeno dei vecchi bollitori, il loro richiamo imperioso, e non certo melodioso. I bollitori sono nell’Est dell’Europa, ma anche nei Paesi del Nord, l’equivalente delle caffettiere dei popoli mediterranei; un oggetto quasi sacro, una di quelle «cose» che creano la casa e la rendono abitabile.
Il designer, scomparso qualche giorno fa, il 31 dicembre, all’età di 83 anni, ha progettato entrambi gli strumenti. Riservato, chiuso, gentilissimo, aveva studiato filosofia, ingegneria ed economia; teutonico, ma anche friendly, come la sua arte. Nel 1979 ha concepito la caffettiera 9090, sempre di Alessi. Si apre e si chiude con una mano sola, senza avvitare e senza svitare, con un colpo secco e deciso. Con una mano si manovra anche un altro pezzo notissimo di Sapper: Tizio di Artemide, una delle più famose lampade della storia del design. Pressoché perfetta sotto ogni punto di vista, Tizio è un organismo calibratissimo di pesi e contrappesi: assume qualsiasi soluzione nello spazio senza mai perdere l’equilibrio; e non si vede un solo filo pendente, se non quello che dal basamento va alla spina nel muro o sotto il tavolo.
Freddo ma non algido
Da questi tre oggetti si capisce quale siano le sue principali qualità: eleganza, efficienza, essenzialità. Tedesco nella formazione - aveva lavorato dapprima alla Mercedes-Benz per trasferirsi nel 1958 in Italia nello studio di Gio Ponti -, era assolutamente italiano per l’emozionalità che possiedono le sue creazioni. Nel bollitore 9091 l’emotional design si coglie nella superficie specchiante: l’ha voluto levigato. Se in Mendini, altro autore Alessi, la parte emotional è calda, in Sapper è invece più fredda, e tuttavia mai algida, perché ogni suo oggetto possiede un dettaglio caldo, quasi una decorazione: nella caffettiera e nel bollitore è il manico, oltre il fischietto, reperito dopo numerosi tentativi presso un artigiano della Foresta Nera.
Sapper ha progettato di tutto - mobili, orologi, rubinetterie, computer, lampade, auto, biciclette -, ed è stato una delle anime del design italiano. Ha incarnato tra gli anni 60 e i 90 una delle prerogative della produzione: creare oggetti belli seguendo il problem solving: dare un senso alla forma, la bellezza quale risultato dell’utilità. Se si va a rivedere la serie dei televisori e delle radio disegnate con Marco Zanuso negli Anni 60, per Brionvega (i televisori Black, Algol, Doney, la radio portatile bivalve TS 502), oppure lo straordinario telefono Grillo, antenato dei cellulari, si scopre che Sapper ha interpretato al meglio l’idea di una linea italiana fondata su un’industria che coniugava artigianato e produzione in serie, qualità e quantità.
Ernesto Gismondi, proprietario di Artemide, riferisce che un giorno del 1970 il designer gli telefonò per dirgli: «Ti ricordi che mi avevi chiesto di disegnarti una lampada estremamente funzionale e innovativa?». Tizio è una delle prime lampade a utilizzare una lampadina alogena a basso consumo. Ogni soluzione estetica è per Sapper fondata sull’efficacia. Ha anche lavorato per Ibm, progettando vari computer. Il più famoso è Think Pad: nero, quando tutti i computer erano grigi, si presenta come una scatola di sigari chiusa, una vera sorpresa, e con il bottone rosso del Trackpoint al centro.
L’età della plastica
Sapper ha detto no a Steve Jobs, che l’aveva contattato, attratto da questo personal, per lavorare alla Apple. Avrebbe dovuto trasferirsi in California, ma - come ha dichiarato in un’intervista - preferì restare a lavorare a Milano. Un’occasione perduta? Un unico rimpianto, per lui: i 30 milioni di dollari all’anno guadagnati da Jonathan Ive, chiamato al posto suo.
Uomo di molte stagioni, ha legato il suo nome anche all’età della plastica all’inizio dei fatidici 60, quando l’Italia era all’avanguardia nel mondo. Bellissime le sue sedie per Kartell, compreso il seggiolino per bambini del 1964. Lui tedesco-italiano, che abitava una casa di legno e vetro, chiusa come un carapace, sul lago di Como (una sintesi del suo carattere, come dice qualcuno), ha interpretato il Made in Italy come se fosse nato proprio all’ombra della Madonnina.
Quando negli Anni 80 il design italiano si è internazionalizzato, e sono apparsi i primi oggetti post-tecnologici, secondo la definizione che ne ha dato Andrea Branzi, Sapper non si è lasciato travolgere da mode passeggere; non è stato neppure annichilito dal postmoderno di Sottsass e dello Studio Alchimia. Ha continuato a progettare con sapienza gli strumenti necessari per bere, mangiare, vedere, scrivere, viaggiare, calcolare. In una intervista ha sintetizzato la sua idea: «Il tempo è una delle poche cose che possono definire la qualità di un oggetto». Chi ne possiede uno, sa che è così.

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Michele Masneri per Rivista Studio
«Di designer ne nascono solo tre o quattro in un secolo!». Non ci sarà un Moravia del Compasso d’oro al funerale di Richard Sapper (30 maggio 1932-31 dicembre 2015), sublime disegnatore bavarese-milanese che se n’è andato la notte di Capodanno, anche con un piccolo giallo: la morte, annunciata dalle edizioni Phaidon, per sostenere forse una imminente monografia, poi rilanciata dal magazine Dezeen, infine confermata solo dopo 24 ore dalla famiglia.
È stato l’inventore degli oggetti domestici più drammatici e poetici delle nostre case: prima negli anni Sessanta per Brionvega la radio Ts502, detta Cubo, poi sempre per l’azienda italiana il televisore Algol, schermo stondato e arrotondato e linee inclinate (Zanuso lo paragonava a un cagnolino che guarda in alto verso il proprio padrone); poi soprattutto la lampada-simbolo degli anni Ottanta, la Tizio di Artemide. Tutti finiti nella collezione permanente del Moma, e per la sua curatrice, Paola Antonelli, «lo status symbol definitivo degli anni Ottanta», la Tizio che «era in ogni loft yuppie e nei film di Gordon Gekko», ed effettivamente è nella casa aspirazionale di Bud Fox in Wall Street del 1987 insieme alla Pastamatic. Nera e geometrica e aggressiva, la Tizio sta agli anni Ottanta come poi la Tolomeo di alluminio e morbida ai Novanta. Oltre ad essere una delle prime lampade alogene – che all’epoca faceva assai fino – la Tizio aveva come tutti gli oggetti di Sapper una trovata umanizzante, un funzionalismo temperato dal romanticismo che forse derivava dalla sua germanicità del sud.
Lampada da scrivanie di cumenda che non devono chiedere mai, aveva, oltre a un equilibrio e una postura da mantide religiosa coi suoi bilancieri in bilico, il meccanismo geniale d’essere smontabile su perni rossi, ma soprattutto la corrente non passava per fili ma abbattuta da un pesante trasformatore saliva poi direttamente verso le aste. L’elettricità a bassa tensione era un’idea che veniva dall’industria automobilistica e dal lavoro di Sapper alla Mercedes, dove aveva iniziato, al centro stile di Stoccarda (poi venne a Milano, prima la collaborazione con Gio Ponti, poi con la Rinascente, e ancora con Marco Zanuso).
A segnare un’epoca e le sue scrivanie, anche il computer portatile Ibm Thinkpad, scatola squadrata «come una scatola di sigari» con un piccolo punto di colore, rosso (anche lì, l’umanizzazione: aneddoto raccontato a Domus, il rosso non era previsto dagli americani di Ibm, lui si impunta e sceglie per il trackpoint lo stesso rosso dei giunti della Tizio, ma è un colore che in Germania viene usato solo per comunicazioni legate all’emergenza, lui se ne fotte, alla fiera di Hannover, dove il computer viene presentato, la polizia lo sequestra).
Poi, come nei cursus honorum di tutte le divinità da Abitare, diverse teiere e caffettiere fondamentali per Alessi (non azzeccando però il bollitore-bestseller, che fu invece quello di Michael Graves con l’uccellino, e quello sapperiano con fischietto barocco d’ottone rimase di nicchia), e una macchina per espresso esageratamente monumentale con cupole e cilindri tipo museo di Mario Botta.
Funzionalista macho, maschio alfa dei designer sull’asse del Brennero, Sapper era nato nel 1932 come l’altro campione tedesco dell’elettrodomestico artistico, però bianco e minimalista, Dieter Rams. Anche lui tedesco, ma di Wiesbaden, molto più a nord, Rams preferiva candori virginali, al massimo l’alluminio, fondando dinastie di oggetti lattiginosi a partire da uno stereo celebre Braun Sk55, detto anche “la cassa da morto di Biancaneve”, sintesi di candore etereo e scuola di Ulm, e poi una serie di elettrodomestici per il gruppo di cui è stato per decenni capo del design. Rasoi e calcolatrici e radiosveglie da manuale, Bauhaus da camera con uso di cucina, però Sapper era più poliedrico avendo disegnato anche poltrone e auto e telefoni.
Ci fu anche un momento di guerriglia tra i due; nel 1971, con le sveglie espressioniste Sandwich disegnate per Ritz-Italora da Sapper e la lunga serie di svegliette Braun iniziate nello stesso anno da Rams (per Sapper, la solita trovata, la sveglia si spegneva pigiandola, come un sandwich, appunto. Per Rams, innovazione e rigore, si poteva far cessare l’allarme con un comando vocale).
«Rams ha lavorato cinquant’anni per la stessa azienda, la Braun», ha detto del collega in un’intervista, «io mi sarei annoiato». Rams è stato più un teorico, ha sintetizzato la sua filosofia nei suoi 10 punti celebri, e il suo minimalismo a 220 volt è stato plagiato o omaggiato lattiginosamente dalla Apple (Jonathan Ive, seguace, ha scritto anche la prefazione a una monografia sul gran capo del disegno Braun). Però Steve Jobs aveva proposto a Sapper e non a Rams di andare a dirigergli il design. Ma il prescelto ebbe a dire: «Che ci vengo a fare in California, con tutto quello che ho da fare qui a Milano?» (forse inopinatamente, prima degli effetti-Expo e delle Darsene, pentendosi una volta saputi gli ingaggi).