Corriere della Sera, 5 gennaio 2016
Il carabiniere denuncia Ilaria Cucchi per aver pubblicato la sua foto su Facebook
Nelle aule di Facebook va in scena il processo alla divisa, per poi rimbalzare nelle sedi istituzionali. Proprio mentre l’avvocato del carabiniere postato in slip e muscoli sul profilo di Ilaria Cucchi annuncia una querela per diffamazione, Lucia Uva testimonia il disagio e la rabbia di chi ha perso qualcuno mentre era sotto la custodia dello Stato. La sorella del quarantatreenne di Varese morto nel 2008 dopo una notte in caserma, pubblica la foto (altrettanto scultorea) di uno degli agenti in turno la notte in cui fu arrestato suo fratello Giuseppe. «Come Ilaria Cucchi, voglio farmi del male per vedere in faccia chi ha passato gli ultimi attimi di vita di mio fratello...» pubblica la Uva, salvo poi rimuovere la pagina, sulla quale nel frattempo sono piovute incitazioni alla violenza. Commento o diffamazione? Non ha dubbi il difensore del carabiniere Francesco Tedesco comparso in costume giallo sul profilo della Cucchi. La didascalia accusatoria che accompagna l’immagine – «Questa è la faccia di chi ha ucciso mio fratello» aveva scritto la Cucchi – è «diffamatoria». Non solo ma è anche una forma di istigazione alla violenza, almeno secondo l’avvocato Elio Pini: «Dopo quel post, il mio assistito è stato sommerso da minacce di morte, a lui e ai suoi familiari. Denunceremo la Cucchi e gli autori di quelle minacce». Allo stesso modo il difensore del poliziotto (Luigi Empirio) chiamato in causa dalla Uva, aveva annunciato querela: «Devolveremo il ricavato alle famiglie dei poliziotti vittime» anticipa Piero Porciani. L’una (Cucchi) e l’altra (Uva) non intendono lasciarsi intimidire: «Mettetevi bene in testa che noi vittime dello Stato vogliamo solo la verità e non ci fermeremo fin quando i colpevoli non verranno tutti fuori» pubblica online la Uva. E la Cucchi dice di aver risposto a un messaggio che uno dei carabinieri indagati, Roberto Mandolini, aveva «postato» su Facebook. Era stato infatti proprio lui, sabato a rilanciare sul social la definizione di Cucchi «Grande spacciatore». Definizione emersa dalle intercettazioni degli investigatori. Mandolini, parlando con un collega, dice: «Ma chi è colpevole? Questo era uno spacciatore, non so se ha dato i soldi a qualcuno, se no lo hanno menato e gli hanno fatto qualcosa, che volete da noi?» Il comandante dei carabinieri, Tullio Del Sette, era già intervenuto a favore di provvedimenti inflessibili nel caso in cui fossero accertati i fatti ipotizzati dalla nuova inchiesta: «È gravissimo, inaccettabile per un carabiniere rendersi responsabile di comportamenti illegittimi e violenti». Dal social network i l dibattito si trasferisce con rapidità alla politica. Il senatore Carlo Giovanardi che, all’epoca, scatenò polemiche per la sua frase «Cucchi è morto perché era un drogato» dice oggi: «È vergognoso che vengano indicati pubblicamente con tanto di foto carabinieri e agenti di polizia le cui responsabilità sono ancora tutte da provare: a loro la mia solidarietà». Mentre la solidarietà di Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione Comunista, va alla famiglia Cucchi: «Solidarietà a Ilaria Cucchi. In Italia chi non blocca una bestemmia rischia il licenziamento, mentre chi tortura e uccide continua a portare la divisa. Ma Alfano dov’è, in ferie?» chiedeva Ferrero sarcastico, rivolgendosi però al ministro sbagliato, visto che l’Arma dei carabinieri è in organico alla Difesa.