Corriere della Sera, 5 gennaio 2016
Charlie Hebdo mette in copertina un dio col kalashnikov. Vescovi e imam protestano
La copertina del numero speciale, un anno dopo l’attentato, fa arrabbiare molti responsabili religiosi. Segno che Charlie Hebdo davvero vive ancora, dopo i 12 morti del 7 gennaio. «Il 2015 è stato l’anno più terribile di tutta la storia di Charlie Hebdo, perché ci ha fatto subire il peggior supplizio per un giornale d’opinione: mettere alla prova le nostre convinzioni – scrive il direttore Riss nell’editoriale dell’anniversario —. Sarebbero state sufficientemente forti per darci l’energia di rialzarci? Avete la risposta tra le vostre mani. Le convinzioni degli atei e dei laici possono spostare più montagne ancora della fede dei credenti». In copertina, un disegno dello stesso Riss raffigura un dio con kalashnikov e veste insanguinata, un colpevole che un anno dopo è «ancora in fuga». Un dio dalle sembianze «tipicamente cristiane», ha sottolineato il quotidiano cattolico La Croix, che però non si è scandalizzato e ha preferito ricordare le parole dell’abate Pierre-Hervé Grosjean: «Dalla culla alla croce, il nostro Dio si mostra disarmato. E si lascia disegnare in caricatura, senza smettere di amare». Altri sono meno indulgenti. La Conferenza dei vescovi di Francia ha usato il suo conto Twitter per dire che «non commenta ciò che cerca solo di provocare. È un genere di polemica di cui la Francia ha bisogno?», si chiedono i vescovi francesi, in questo modo in effetti commentando. Il sacerdote Pierre Amar, della diocesi di Versailles, protesta per il fatto che «otto giorni dopo Natale nel quale si celebra un Dio disarmato e pacifico disteso nella paglia, Charlie Hebdo insulta, macchia e denigra». Tra i musulmani, Abdallah Zekri, presidente dell’Osservatorio contro l’Islamofobia, giudica l’editoriale di Riss «violento e insultante nei confronti delle religioni», e annuncia che per questo non commemorerà l’anniversario del 7 gennaio. Anouar Kbibech, presidente del Consiglio francese del culto musulmano, istanza rappresentativa dell’islam di Francia, si dice «ferito» dalla copertina. «Abbiamo bisogno di segni di concordia. Questa caricatura non aiuta perché colpisce tutti i credenti delle diverse religioni». Va ricordato che la ragion d’essere di Charlie Hebdo non è mai stata di rappresentare il sentire comune, o di assecondare le diverse sensibilità. Charlie Hebdo ridicolizza orgogliosamente le religioni dal 1970, l’anno di nascita. L’attentato del 7 gennaio ne ha triplicato le vendite medie (stabili intorno alle 100 mila copie, il numero di domani uscirà sarà stampato in un milione di esemplari), ma il settimanale fondato da François Cavanna e Georges Bernier è sempre stato un foglio satirico marginale, anticlericale e antisistema, che si pone come obiettivo di non prendere nulla sul serio, tantomeno dio. Riss e gli altri esercitano un diritto alla blasfemia che può dare risultati più o meno divertenti, può piacere o disgustare, ma esiste, almeno in Francia. Hanno voluto ricordarlo nel momento delle cerimonie, quando la retorica rischia di uccidere lo spirito di Charlie. I fratelli Kouachi ne hanno già massacrato il corpo il 7 gennaio 2015, crivellando di colpi i disegnatori Charb, Cabu, Honoré, Tignous, Wolinski, l’economista Bernard Maris, la psicanalista Elsa Cayat, l’ospite della redazione Michel Renaud, il correttore di bozze Mustapha Ourrad, l’inserviente Frédéric Boisseau e i due poliziotti Franck Brinsolaro e Ahmed Merabet.