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 2016  gennaio 05 Martedì calendario

L’inganno dei bond

Una volta che i risparmiatori frodati da Banca Etruria, Banca Marche, Carife e CariChieti saranno rimborsati, resteranno almeno due questioni più ampie da chiarire: se hanno subito un trattamento scorretto anche gli investitori in altri istituti italiani, e se le autorità di controllo potevano fare qualcosa per prevenire. Non negli ultimi mesi, ma negli ultimi anni. 
È ancora sul sito della Consob un rapporto del luglio 2010 che mostra come la risposta a entrambe le domande sia probabilmente affermativa: le scorrettezze verso i piccoli obbligazionisti delle banche sono stati diffusi in Italia e le risposte delle autorità responsabili della tutela del risparmio sono parse timide. Sicuramente insufficienti ad arginare un fenomeno che in misura diversa, non drammatica come in queste settimane, tocca fino a un decimo del risparmio finanziario privato in Italia.  
Si tratta di un testo della divisione studi economici della Commissione nazionale per la società e la Borsa: un’analisi sul modo discutibile con cui per anni le banche hanno venduto le proprie obbligazioni alle famiglie. Le quantità sono state nettamente superiori rispetto a qualunque altro Paese, ma soprattutto i rendimenti offerti sono stati incomprensibilmente bassi rispetto ai rischi insiti in quei titoli. Se si confrontano ai rendimenti per titoli analoghi venduti a investitori professionali – più consapevoli dei rischi, dunque più decisi a ottenere una remunerazione adeguata – molto probabilmente fra il 2007 e il 2013 il sistema bancario italiano avrebbe dovuto riconoscere nel complesso circa tre miliardi in più all’anno in interessi alle famiglie. Un trasferimento di ricchezza sottile, silenzioso, ma su scala macroeconomica.  
Allora e in seguito la denuncia dell’ufficio studi Consob è passata inosservata. Luigi Guiso, l’economista dell’Istituto Einaudi, su quella base aveva persino inviato un esposto alla Commissione europea. Eppure il rapporto della Consob non ha dato luogo a interventi abbastanza efficaci neanche da parte della stessa autorità.  
Lo studio si concentra sul biennio luglio 2007-giugno 2009. Alla crisi finanziaria, che colpisce l’accesso delle banche ai crediti da altre banche estere, gli istituti italiani rispondono accelerando i già intensi collocamenti alla clientela. Il peso delle obbligazioni bancarie sul totale del risparmio delle famiglie sale fino ad almeno dieci volte più che in altri Paesi europei (grafico). Scenderà solo con le operazioni di liquidità a lunga scadenza e tasso zero della Banca centrale europea: gli istituti ora trovano più conveniente finanziarsi così, non con le obbligazioni. L’ufficio studi Consob nota: «Nei tre anni da luglio 2006 a giugno 2009 le banche italiane hanno collocato presso la clientela domestica al dettaglio oltre 12.200 titoli, per un importo pari a circa 350 miliardi di euro». Nel frattempo le stesse banche collocano titoli per circa 130 miliardi di euro presso investitori istituzionali come fondi o assicurazioni. Non tutti quei titoli sono rischiosi allo stesso modo. I quattro quinti sono obbligazioni ordinarie, un decimo sono titoli strutturati e altre emissioni che si avvicinano a veri e propri derivati. Il 7% sono obbligazioni subordinate, in un’epoca in cui non si prevedevano ancora le norme che oggi le rendono molto più vulnerabili. Soprattutto, l’ufficio studi Consob nota che quasi tutti quei titoli piazzati allo sportello erano quasi invendibili, se le famiglie avessero voluto disfarsene. «Solo il 9% delle obbligazioni (circa il 30% in termini di controvalore) ha un mercato secondario realmente liquido», si legge. 
Di solito chi emette un titolo in queste condizioni deve assicurare un rendimento adeguato. Con le famiglie italiane non sembra successo: «Il differenziale del rendimento a scadenza delle obbligazioni ordinarie a tasso fisso e quello dei titoli di Stato domestici è assai debolmente correlato con il rischio emittente e con il rischio di liquidità – si legge – risultando con elevata frequenza negativo anche per banche con rischio emittente superiore a quello della Repubblica italiana». In sostanza, in gran parte le banche hanno remunerato le famiglie creditrici meno che se queste avessero comprato titoli di Stato di pari durata. Poco importa che il rischio di default del governo fosse più basso e la liquidità sul mercato dei titoli di Stato infinitamente più alta.  
L’analisi dell’ufficio studi Consob mostra invece che i professionisti del mercato vengono trattati meglio. Su titoli analoghi, «i rendimenti (annui, ndr) offerti agli investitori istituzionali sono superiori, rispetto a quelli al dettaglio, in media di circa 90 punti base (0,90%) per le obbligazioni a tasso fisso e di circa 100 punti (1%) per quelle a tasso variabile». Gli investitori professionali conoscevano i rischi ed erano decisi a farsi pagare il giusto. Per i consumatori invece il rapporto parla di «carenze cognitive»: non capivano bene cosa venisse loro venduto. 
Su obbligazioni bancarie fino a 370 miliardi nei bilanci delle famiglie (nel 2012-2013), fanno rendimenti in meno riconosciuti ai risparmiatori per oltre tre miliardi l’anno. La Consob sapeva dal luglio 2010. Nel frattempo, dal primo agosto 2013, scattano in Europa le regole che colpiscono gli obbligazionisti in caso di intervento pubblico a sostegno delle banche. Ci si sarebbe potuto aspettare che Giuseppe Vegas, il presidente della Consob, intervenisse con forza per mettere in guardia i risparmiatori. Non è chiaro che sia successo: nelle sue relazioni annuali dal 2010 al 2015, i suoi interventi di più alto profilo per il pubblico, Vegas non parla mai di queste incongruenze. Nel maggio del 2011 lo fa solo con brevi riferimenti obliqui, incomprensibili se non agli addetti ai lavori. 
Nelle relazioni annuali Vegas non parla mai neppure delle nuove norme europee che colpiscono gli obbligazionisti delle banche, in vigore dal 2013 e inasprite nel 2014. Il 15 dicembre scorso al «Corriere della Sera» ha detto di essere intervenuto «raccomandando di non vendere ai risparmiatori singoli prodotti complessi». Quando? «A luglio del 2015».