Corriere della Sera, 5 gennaio 2016
Lo scontro tra Arabia Saudita e Iran è sempre più serio
Sette anni di dialogo, sia pure «con il fucile dietro la porta», rischiano di finire polverizzati nella rissa pre-bellica tra Arabia Saudita e Iran. Nessun analista, neanche quelli che lavorano per la Casa Bianca, aveva previsto un’escalation così rapida e pericolosa nello scontro tra Teheran e Riad. L’amministrazione americana prova a superare il primo momento di sorpresa e di imbarazzo. Ieri il segretario di Stato John Kerry si è attaccato al telefono, cercando di convincere il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javid Zarif, e il pari grado saudita, Abel bin Ahmed al-Jubair a «non cedere a reazioni esagerate». Kerry si è poi dedicato alla cintura dei Paesi del Golfo, sentendo i ministri di Bahrein, Kuwait, Qatar, Emirati Arabi e Oman. Si muove il segretario dell’Onu Ban Ki-moon: anche lui ha chiamato l’iraniano Zarif e il saudita al-Jubair. Inoltre l’inviato delle Nazioni Unite per la Siria, Staffan de Mistura, è già da ieri sera a Riad e nelle prossime ore farà tappa a Teheran, per chiedere di «allentare la tensione», come ha riferito un portavoce del Palazzo di vetro. Sul piano politico non poteva esserci rientro peggiore dalle vacanze per Barack Obama. Il presidente degli Stati Uniti non è intervenuto direttamente. Il portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest, ha sottolineato come in prima battuta si muoverà Kerry e, su linee parallele, l’Onu. Ora bisognerà vedere se queste mosse saranno sufficienti per riportare un minimo di calma. I segnali che arrivano dalla regione, però, non sono incoraggianti. Dopo che l’Arabia Saudita ha rotto le relazioni diplomatiche con l’Iran, ieri si sono esposti altri tre Paesi a guida sunnita. Il Bahrein ha chiuso la sua ambasciata a Teheran. Il Sudan ha espulso l’ambasciatore iraniano e gli Emirati Arabi hanno richiamato «per consultazioni» il loro rappresentante nella capitale iraniana. Obama si trova di fronte almeno quattro complicazioni. Innanzitutto ha dovuto subire una nuova iniziativa di Vladimir Putin. Il presidente russo, abilmente reattivo, si è offerto come mediatore tra i Saud e gli ayatollah. Il governo Usa può lasciare altro spazio alle manovre russe nella regione? Il secondo punto tocca, naturalmente, la guerra contro l’Isis. Poco prima di Natale, Obama aveva inviato il segretario alla Difesa Ashton Carter nei Paesi sunniti proprio per chiedere «un maggior contributo militare» contro lo Stato Islamico. Se questa è la risposta, Washington ha di che preoccuparsi. Infine: i rapporti con Israele. Per ora questa variante rimane sommersa. Ma Obama teme che il premier Benjamin Netanyahu, già irritato dopo aver appreso che i servizi segreti americani hanno continuato a spiarlo, possa offrire una qualche sponda all’Arabia Saudita e al blocco sunnita. Sul piano interno i candidati repubblicani, da Donald Trump a Ted Cruz, non aspettano altro che appoggiare il risentimento israeliano: nei prossimi giorni il Congresso tornerà a discutere sulle sanzioni a carico dell’Iran. Un bel tema da inserire nell’agenda per le primarie.