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 2016  gennaio 03 Domenica calendario

Una breve storia del debito pubblico

Milleottocento anni prima di Cristo, in Mesopotamia, Damuzi-gamil finanziava sia il commercio internazionale a lungo raggio sia le esigenze stagionali dell’agricoltura. I contratti, stilati su tavolette di terracotta, usavano come unità di conto grani d’argento. Nel 1788 a.C., un editto del re Rim-Sin cancellò tutti i debiti. Ne derivò la prima crisi finanziaria della quale si abbia, sinora, notizia. 
Larry Neal, uno dei maggiori studiosi della storia della finanza internazionale, comincia da molto lontano per aiutarci a capire, in uno splendido capitolo finale, la crisi sub-prime del 2007-14. Il filo conduttore della narrazione è quello dell’innovazione finanziaria che accompagna l’espansione dell’economia reale (reddito, investimenti, occupazione). Ma un’ambiguità faustiana è intrinseca all’innovazione, non solo finanziaria. Come impedire che la finanza non distrugga i benefici che essa stessa elargisce all’umanità? Le crisi si evitano, o più spesso si mitigano, coordinando banche, mercati finanziari e governi ed è successo spesso nella storia trimillenaria della finanza che il coordinamento fallisca, come sappiamo dalla montagna di lavori di storici ed economisti sulla genesi delle crisi finanziarie. L’interesse di Neal è rivolto, più che alle cause delle crisi, alle soluzioni virtuose trovate per prevenirle e risolverle, cercandone elementi comuni che aiutino a formulare politiche valide per il futuro. Gli anni di prosperità che hanno preceduto il 2008 – dice Neal – hanno creato un gran numero di beneficiari del capitalismo e del commercio globali: il libro si propone di aiutare queste persone a trovare soluzioni operative che permettano di conservare i benefici sinora ottenuti e mitigare i pericoli di crisi future. Neal è studioso troppo raffinato per pensare di dirci come si esorcizzino per sempre le crisi economiche. Si erano illusi di saperlo, dieci anni fa, gli economisti della “grande moderazione”, della fine del ciclo economico: tremila anni di storia mettono in guardia contro ubris intellettuali e politiche di quel tipo. Ma spostando l’enfasi sulle soluzioni piuttosto che sull’origine delle crisi Neal offre spunti non banali a chi deve trovare soluzioni tecniche e politiche al perenne problema delle crisi finanziarie.
Il debito pubblico occupa, con la moneta, un posto centrale nella storia della finanza. Cominciando da Venezia, che lanciò nel 1262 un debito consolidato pagando il “giusto” tasso del 5 per cento annuo, continuando con i banchieri genovesi di Carlo V e Filippo II (malgrado i frequenti default sovrani i genovesi accumularono enormi profitti), fino all’esplodere settecentesco del capitalismo finanziario in Olanda e Inghilterra, il debito pubblico è stato al centro dello sviluppo finanziario. Ha costituito l’indispensabile ancora che permise la crescita della finanza e della banca private. Formò la base per la nascita delle Borse valori, offrendo titoli relativamente sicuri, abbondanti e facilmente scambiabili (liquidi). Ancora oggi, sostiene Neal, il mercato dei titoli cosiddetti sovrani rappresenta un’ancora indispensabile sia a un’ordinata crescita del sistema finanziario, offrendo un insostituibile collaterale a basso rischio per le operazioni di credito e gli indispensabili derivati, sia nel mitigare l’impatto della crisi.
Emettendo moneta e debito pubblico lo Stato ha, dunque, svolto funzioni decisive nello sviluppo della finanza. Le ha svolte anche come produttore e tutore delle regole del gioco. Il Senato regolava le banche del foro romano. Le prime Borse valori, ad Amsterdam e Londra, prosperarono sulla base di norme che gli stessi operatori si davano, come in un club, ma che in ultima istanza erano sanzionate dal potere esecutivo e giudiziario. Le responsabilità dei poteri pubblici nella regolazione dei sistemi finanziari crebbe nel tempo, spesso imparando dalle crisi, talvolta indietro rispetto alle innovazioni. 
L’ultimo capitolo offre, in sole 18 pagine, una sintesi della crisi dalla quale noi italiani stiamo ancora faticosamente uscendo. La prospettiva millenaria permette a Neal di sottoscrivere una visione moderatamente ottimista della gestione della Grande Recessione recente. Ciò sorprenderà molti lettori ma non i lettori giunti alla fine di questo libro. Il 18 settembre 2008, il fallimento di Lehman Brothers innescò una caduta del reddito, della produzione e del commercio mondiali inizialmente più rapida e profonda di quella che era seguita al crash di Wall Street nell’ottobre 1929. Una serie di misure dette convenzionali, perché previste dagli economisti e consentite dalle regole vigenti, e non convenzionali, perché mai prima sperimentate, hanno mitigato fortemente l’impatto della crisi. Non è forse un caso che Bernanke fosse stato attento studioso del 1929-33. Il libro si chiude, dunque, su di un tono ottimista: finanza e debito ci hanno resi non solo materialmente più soddisfatti ma anche più longevi e meglio educati. Hanno sempre rischiato di precipitarci in una crisi e spesso ci sono riusciti. Non per questo dobbiamo rinunciarvi nella consapevolezza che «in qualche modo, in qualche luogo qualcuno riuscirà a scoprire come fare ripartire ancora una volta i nostri sistemi finanziari».