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 2016  gennaio 03 Domenica calendario

Un italiano su due non crede nella giustizia

Sembra passato un secolo da Mani Pulite, quando a quel pool capeggiato da Francesco Saverio Borrelli gli italiani avrebbero affidato il Paese. Anno 1994: la fiducia nella magistratura è al 67%, secondo Demos & Pi. Trascorsi ventidue anni, scenari e attori sono cambiati. Molte toghe note – Fernando Pomarici, Raffaele Guariniello e Marcello Maddalena – hanno lasciato il 31 dicembre, per effetto della riforma Renzi che ha abbassato da 75 a 70 anni l’età pensionabile dei magistrati. Cosa resta della fiducia di un tempo? Il calo è significativo: i consensi non arrivano a superare la soglia del 50%. Ma ancor più significativo è il fatto che a voler registrare e interpretare la «cattiva immagine» dei magistrati sia stata un’iniziativa promossa dalla Scuola superiore della magistratura che ha affidato a due noti studiosi, Nadio Delai e Stefano Rolando, una corposa indagine. Obiettivo: ascoltare e interpretate cosa i magistrati pensano di se stessi (1.110 i questionari compilati) mettendolo a confronto con l’opinione dei cittadini (2.025 le interviste a campione). Una doppia forma di ascolto che porta gli autori della ricerca a sottolineare l’inevitabile necessità per i magistrati di «reintepretare» il proprio ruolo, che non potrà più essere né di supplenza o di assunzione diretta di un ruolo politico attivo, né di un anacronistico ritorno all’antico per cui il giudice deve «parlare solo per sentenze». 
I dati, d’altronde, sono espliciti. Tra magistrati e cittadini ci sono sintonie di fondo, in particolare sulla corruzione politico-amministrativa ritenuta l’area di illegalità al primo posto nel Paese (89,9% per i primi, 74,8% per i secondi), ma anche forti divergenze. Il fatto che la valutazione dell’operato della magistratura faccia segnalare una parabola discendente, da Tantentopoli ad oggi, è senz’altro il dato che fa maggiormente riflettere. 
LA REPUTAZIONEL’indagine va nello specifico e chiede agli intervistati un parere sulla reputazione delle toghe suddivisa in fiducia, credibilità e affidabilità. La valutazione dei cittadini è assai critica. Per quanto riguarda l’immagine percepita dei magistrati che operano sul territorio, solo il 52,3 esprime un giudizio positivo che scende al 47,8% quando si tratta di valutare la magistratura nel suo complesso. Per quanto riguarda l’affidabilità, il gradimento scende al 46,5% che cala ulteriormente al 35,6% se il giudizio è sulla magistratura nel suo complesso. La reputazione è al 47,4%, che scende al 36,7% se si considerano le toghe svincolate dal territorio. La magistratura svolge o no un ruolo di supplenza rispetto alla politica di fronte a gravi questioni quali corruzione, criminalità organizzata o terrorismo? A questa domanda, oltre la metà degli intervistati (il 56,6%) risponde di sì con certezza. Elemento, anche questo, che rappresenta in ogni caso un fattore di valutazione critico sulla reputazione.
SINTONIE E DIFFERENZEGli ideali e i valori di fondo, per cui si è fatta la scelta di entrare in magistratura, delineano una «categoria”tonica” e certo non psicologicamente”assediata”», che nel 78,5% dei casi si dice soddisfatta del ruolo svolto. La sintonia con la popolazione sta nel mettere al primo posto la corruzione come fattore di illegalità da debellare, cui fanno seguito la criminalità organizzata (74,7% per i magistrati, 52% per i cittadini) e l’evasione fiscale (55,4% e 39,3%). Ma ci sono anche differenze significative. E su punti non certamente secondari. Il lavoro dei magistrati è soggetto a”pressioni”? La sovrastima dei cittadini va da 2,9 sino a 25,1 volte più di quanto dichiarino i magistrati stessi. Ad esempio, le eventuali pressioni dei media e della politica sono, rispettivamente, del 54,7% e del 74,1% secondo i cittadini, contro il 18,9% e il 12,6% dichiarati dai magistrati. 
NON ACCETTABILITÀCi sono poi comportamenti che vengono ritenuti inaccettabili, ma in maniera differente. Esprimere valutazioni pubbliche sui provvedimenti di altri magistrati è vissuto come un tabù dall’85,4% delle toghe, contro il 48,8% dei cittadini. Assumere ruoli politici? 61,3% di contrari tra i magistrati e 55,9% tra la popolazione. Fornire ai media chiarimenti sui processi in corso? Assolutamente no per il 50,8% dei diretti interessati, mentre il 23,6% dei cittadini sarebbe favorevole ad avere maggiori spiegazioni. Non mancano punti di vista divergenti su temi di riforma della giustizia che hanno arroventato il clima politico degli ultimi venti anni. La separazione delle carriere tra giudici e pm vede nettamente favorevoli i cittadini (73,1%) e assolutamente contrarie le toghe (78,1%). Lo stesso vale per la necessità di regolare meglio la responsabilità civile dei magistrati – la riforma del governo Renzi è del 2015 e la ricerca è stata pubblicata alla fine dell’anno. I cittadini che si sono detti d’accordo sono stati il 75,2%; specularmente, i magistrati contrari hanno toccato il 72,5%
TOGHE E POLITICAIl passaggio alla politica, tema negli ultimi venti anni foriero di critiche e polemiche, è ora trattato con un atteggiamento particolarmente prudente dalla magistratura. Dare l’impressione di utilizzare la propria posizione per finalità politiche personali costituisce un fatto che si verificherebbe”spesso” dal 6,5% dei magistrati (contro il 23,2% dei cittadini). Decidere di accettare ruoli politici viene visto con assoluto sfavore da quasi i 2/3 dei magistrati ma anche dal 55,9% della popolazione. Infine, un problema su cui il Csm è in parte già intervenuto ma per il quale si reclama un intervento legislativo: regolare meglio il passaggio dei magistrati che vogliono entrare in politica. Il 92,1% delle toghe si dice favorevole. 
Al di là dei numeri, se si non vuole arrendere alla «cattiva immagine» che emerge dall’indagine, la magistratura dovrà operare una vera e propria «riappropriazione di ruolo». «Anche i magistrati – scrivono Delai e Rolando – si trovano a passare attraverso la loro specifica”mutazione”, in cui giocherà molto la loro capacità di essere non solo”attori del diritto”, bensì anche”attori sociali” a pieno titolo e a piena responsabilità».