Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  gennaio 03 Domenica calendario

Lino Banfi racconta com’è stato recitare con Zalone

Se c’è una persona che non si è per niente stupita dello straordinario successo di Quo Vado?, quello è Lino Banfi. Nel film c’è anche lui e aveva le idee chiare fin dal primo ciak. “Dissi subito a entrambi, Checco Zalone e il regista Gennaro Nunziante, che avrei portato loro fortuna”.
Quanta fortuna?
Dissi così: ‘Sento odore di 60 e passa milioni di euro’. Loro possono testimoniare. Non è che sia un indovino, molto semplicemente era chiaro. Bastava guardarli lavorare.
Parla sempre al plurale.
È un errore che fanno quasi tutti gli osservatori: parlano solo di Zalone. Ma non ci sarebbe Zalone, non al cinema almeno, senza Nunziante. Uno è un 14 carati e l’altro un 18: insieme formano un oro ancor più prezioso. Sono due persone colte e mirabili: due persone perbene. Si completano, si capiscono con uno sguardo. Meticolosissimi.
Lo dice quasi come se fossero sin troppo meticolosi.
Se dovessi usare un aggettivo per definire quel che ho provato quando ho lavorato con loro, probabilmente non userei la parola ‘divertente’. Non voglio però essere frainteso: le risate sul set non mancavano, solo che sono scrupolosi e curano ogni dettaglio. Anche se molta critica non lo nota.
Tasto dolente: la critica.
Se ci chiamassero per consegnare un David di Donatello, si incazzerebbero tutti i colleghi. Non dico per premiarci: dico anche solo per consegnare un premio. Sarebbe già un sacrilegio: i premi li deve vincere Pupi Avati, mica noi. Checco lo sa e ci gioca molto.
Le spiace?
È un difetto tutto italiano. In America uno come Zalone verrebbe riempito di riconoscimenti. Io però una soluzione ce l’ho: andiamo insieme a Venezia e io gli consegno l’Orso di Peluche. Oppure lo facciamo a Cannes.
Il luogo in cui si trova lei.
Ho una piccola casa a Cannes, proprio sulla Croisette. Ci sto passando le feste, ma la uso poco.
Qual è il segreto di Zalone?
Anzitutto la fisionomia: è giovane, ma rappresenta anche la mezza età. Ha una comicità modernissima, ma sa giocare sul filone classico. È normalissimo, eppure coltissimo. Incarna in un corpo solo tre epoche diverse di comicità. È antico e moderno, anzi postmoderno. E ha tempi di battuta musicali: non gli sfugge mezzo dettaglio.
Come si comportava?
Si divertiva a imitarmi. È una persona umile e affettuosa. Zalone, quando recita, è autosufficiente: non ha bisogno d’altro. Però non te lo dà a vedere, fa sempre un passo indietro e ti fa sentire importante. Lui e Nunziante dicevano che avermi sul set era un onore, perché sono stato un maestro e il primo a portare la Puglia nella commedia italiana.
Vorrebbe lavorare di nuovo con Zalone?
Un piccolo sogno ce l’ho: un film in cui io sono suo padre, come Sordi con Verdone. Mi piacerebbe molto: sarebbe perfetto.
Quanto può durare Zalone?
Almeno 20 anni. E il primo a goderne sarà San Pietro Valsecchi. Zalone cresce a ogni film, non è un artista destinato a esaurirsi in 4-5 anni. Anch’io avevo molti spettatori, mai però quanto lui. Neanche negli Ottanta c’erano fenomeni simili.
Eppure era un decennio d’oro: Benigni, Troisi, Verdone, Nuti, Benvenuti.
Non ne faccio una questione di talento, ma nessuno aveva allora i numeri di Zalone. Al limite Celentano. Erano anni buoni, capitava di fare 5 miliardi al botteghini. Poi arrivava Adriano e faceva 20 miliardi.
Prima ha citato Pupi Avati: in un primo momento il protagonista di Regalo di Natale doveva essere lei.
Vuole sapere se sono pentito? Ci vedemmo a pranzo, ricordo le ostriche. L’idea mi tentava molto, però Avati mi dette un ultimatum: una settimana. Parlando con il mio produttore Luciano Martino mi vennero alcuni dubbi: dire sì avrebbe voluto entrare in un cast già oliato, accanto a Cavina e Delle Piane. Rischiavo di uscirne sgretolato.
Quindi disse no?
Quindi gli espressi le mie perplessità, ma lui mi bloccò subito: ‘Lino, la settimana è passata e il tempo è scaduto. Big Ben ha detto stop’. Oggi, ogni volta che mi rivede, mi chiede se mi sia pentito. E io: ‘Certo, Pupi. Sono pentito, pentitissimo e recito pure l’atto di dolore’. Ma la verità è che sono solo molto contento per Abatantuono.