Libero, 4 gennaio 2016
Il ragazzo che si è candidato per partire per Marte. E non tornare mai più
Meglio chiarire subito prima di continuare l’intervista: lei è pazzo?
Risata. «No, o forse sì…»
È un kamikaze dello spazio?
«No, io voglio portare la vita su Marte».
Ma lei è proprio sicuro?
«Non vedo l’ora».
Pietro Aliprandi, di Conegliano Veneto, ha 25 anni, è laureato in medicina ed è l’unico italiano selezionato dal progetto olandese Mars One che nel 2025 ha in programma una spedizione su Marte per colonizzare il pianeta. Non è prevista, al momento, la possibilità di rientrare.
Lei è perfettamente consapevole che lascerà la Terra e non ci metterà più piede? Insomma, una missione di sola andata…
«Sì, sono felice di essere protagonista di una missione che cambierà la storia dell’umanità. Poi confido nei progressi della scienza e credo che tra dieci anni quando partiremo, magari avranno trovato un modo per farci tornare».
Lei dà per scontato di farcela?
«Ci credo davvero».
Ma lo fa per diventare famoso?
«Vado su Marte per lasciare tracce di me sulla terra. Da bambino sognavo di fare l’esploratore spaziale così quando ho sentito del progetto Mars One non mi è sembrato vero. Ho sempre pensato di essere nato nell’epoca sbagliata e che una cosa del genere si sarebbe fatta quando sarei stato ormai troppo vecchio. Per questo, appena ho sentito della missione su Marte, ho subito mandato la candidatura. Ma guardi, non ci ho pensato su un attimo. L’ho presa molto seriamente».
Ha spedito il curriculum?
«No, ho pubblicato un video di presentazione su YouTube spiegando le mie motivazioni. Ho specificato che cosa mi avrebbe reso il candidato ideale».
Cosa secondo lei?
«La mia laurea in medicina – un medico fa sempre comodo, anche nello spazio – la mia flessibilità, il fatto di essere in buona salute e la mia determinazione».
Ed è stato sufficiente questo?
«Per superare la prima selezione sì. Erano arrivate 202.585 candidature, tra queste ne sono state scelte 4200. La seconda prova prevedeva la valutazione di un medico simile a quella che fanno gli astronauti della Nasa con la dichiarazione di assenza di patologie croniche, cicatrici e dipendenze. Un’acuità visiva di dieci decimi corretta con lenti perché gli occhiali sono tollerati».
Ed anche questa prova l’ha superata.
«Dopo la visita medica siamo rimasti 660 candidati. Siamo stati chiamati tutti per un colloquio tramite una piattaforma simile a Skype con il dottor Nobet Kraft, uno psichiatra austriaco, che per dieci anni ha lavorato con l’agenzia spaziale giapponese e con la Nasa per l’addestramento e il reclutamento degli astronauti».
Come è andata?
«Il colloquio è durato venti minuti. Mi hanno fatto domande per capire la mia reazione davanti a scenari di emergenza».
Cosa le hanno prospettato?
«In caso di guasto al sistema di filtraggio quanta acqua sarebbe rimasta espressa in ore».
La risposta?
«Settantadue ore con un utilizzo normale».
Ha passato le selezioni. Adesso siete rimasti in 100, le manca l’ultimo passo.
«Sì, solo 24 – dodici uomini e dodici donne – andranno su Marte e io voglio esserci».
Come funzionerà la spedizione?
«Prima ci saranno dieci anni di addestramento. La partenza avverrà a gruppi di quattro e gli organizzatori cercheranno di mettere insieme diverse competenze. Un medico, un ingegnere, un esperto di botanica. Perché l’obiettivo è quelli di colonizzare Marte, creare un avamposto permanente».
Ma se i suoi compagni di spedizione dovessero essere insopportabili?
«Abbiamo dieci anni di tempo per conoscerci. Perché alla fine delle selezioni, ci formeremo insieme, faremo l’addestramento e poi le simulazioni».
Uno degli obiettivi è anche quello di riprodursi su Marte. Lei accetta anche un accoppiamento a scopo, come dire, spaziale? Per il futuro di Marte?
«Non è questo l’obiettivo primario. E poi bisogna prima capire se sia possibile portare avanti una gravidanza in assenza di forza di gravità. Ma alla riproduzione si penserà in seguito, quando ci sarà surplus di acqua e di cibo…».
Lei ha una fidanzata?
«Sì».
Non deve averla presa bene…
«No, certo. Ma sa che è questo è sempre stato il mio sogno e sta pensando di candidarsi per dei gruppi di riserva per raggiungermi. E poi le ripeto sempre che mancano ancora dieci anni».
La sua famiglia?
«È contenta di me».
Cosa potrebbe farle cambiare idea?
«Nulla».
Non teme la noia?
«No, avremo così tanto da lavorare che non avremo tempo per la noia. Nei primi mesi saremo impegnati a costruire l’avamposto per il secondo gruppo che arriverà dopo di noi con i rifornimenti. Ci vorranno degli anni prima di annoiarci. Dobbiamo creare delle serre, far crescere piante su Marte che serviranno anche all’alimentazione…E a quel punto saremo già abituati a vivere su Marte e potremo fare esplorazioni su aree più ampie».
Cosa le piace di più della missione?
«Oltre ad amare lo spazio sono appassionato di montagna. Per questo il mio sogno è raggiungere la vetta più alta di Marte e di tutto il sistema solare, il Monte Olimpo che è tre volte l’Everest».
Manca l’ultima prova, se non dovesse farcela?
«Spero di farcela».
Ha già pensato agli oggetti della Terra che porterà con sé?
«Delle fotografie, credo. Ma non ci ho ancora veramente pensato».
Se poi dovesse essere trovato il modo per tornare sulla Terra da Marte, lei ci tornerebbe?
«Sì, per rendermi conto di come stanno andando le cose qui. Ma poi rientrerei nuovamente su Marte».
Mars One è un progetto dell’imprenditore Bas Lansdrop e del Nobel per la fisica Gerardus ’t Hooft. Sono loro che hanno organizzato queste selezioni mondiali per individuare i 24 (fortunati?) che, dopo una formazione di 10 anni andranno in missione su Marte. Ma Mars One sarà anche un reality, solo trovando sponsor, infatti, si raccoglieranno i sei miliardi di dollari che servono a finanziare i progetti. Sarà il pubblico a scegliere gli astronauti da spedire sul pianeta rosso. Un Grande Fratello Spaziale. Questo progetto ha ricevuto moltissime critiche, in particolare i ricercatori del Mit (Massachusets Institute of Technology) sostengono che la missione ha troppi limiti. Dicono che senza un miglioramento del progetto e senza uno sviluppo delle tecnologie, dopo un paio di mesi i coloni approdati su Marte morirebbero di fame.
Lei non ha paura?
«In ogni missione spaziale c’è una buona dose di rischio… Se non vuoi correre questi rischi resti a casa».
Neanche la prospettiva di morire di sete, di fame, di perdersi nello spazio le fa cambiare idea?
«No perché se va bene io sarò andato su Marte».
E se va male?
«Sarò ricordato per sempre come il primo italiano andato su Marte e che ha cercato di colonizzare un pianeta fino a quel momento ancora inesplorato. E poi pensi invece se le cose andassero bene, se riuscissimo a popolare Marte. Le sembra poco?».
Pietro lei non cambia idea. Le rifaccio la prima domanda: sicuro di non essere un po’ pazzo?
«Le ripeto la mia risposta: un po’ si… Ma quel pizzico di follia necessario per lanciarsi in grandi imprese».
In bocca al lupo, allora.
«Grazie, mancano dieci anni ma ne ho bisogno lo stesso».