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 2016  gennaio 04 Lunedì calendario

Colloquio con Roberto Volpi, lo statistico che studia se gli italiani si estingueranno

Secondo i dati Istat, alla fine del 2015 i decessi in Italia potrebbero aumentare dell’11 per cento rispetto all’anno precedente. Fino ad arrivare a 666mila morti, un livello che non si toccava dai tempi della Seconda guerra mondiale. Ma c’è un dato ancora più inquietante, e riguarda le nascite. Nel 2014, «le nascite sono state meno di 503 mila, mentre già in quest’anno scenderanno abbondantemente sotto il mezzo milione. E una cifra così piccola di nascite non avrebbe dovuto verificarsi mai, neppure nel lontano 2065». Lo ha scritto, sul Foglio, un acuto osservatore della società italiana, e cioè lo statistico Roberto Volpi. Toscano, ha progettato il Centro Nazionale di documentazione e analisi dell’infanzia e dell’adolescenza. Di sinistra, anzi «renziano» per sua stessa ammissione, è noto per le sue analisi appuntite, molto poco «corrette».
Ha scritto qualche tempo fa un bellissimo saggio intitolato Il sesso spuntato (Lindau), in cui ha raccontato «il crepuscolo della riproduzione sessuale in Occidente» e in cui ha spiegato – cifre alla mano – perché non facciamo più figli. Più che il numero alto di decessi, dunque, è la cifra bassissima di nascite che dovrebbe spaventarci e farci riflettere.
«Nella popolazione italiana», spiega Volpi a Libero, «ci sono molte più persone di 70-79 anni che non di 0-9 anni. È l’unica popolazione in Europa, anzi nel mondo in cui questo si verifica. Ci sono addirittura città e Province con più persone fra gli 80 e gli 89 anni che fra gli 0 e i 9 anni». Questa, secondo Volpi, è una popolazione che «non può reggersi in piedi a lungo, perché il calo delle nascite è patologico». Insomma, siamo un Paese in cui non si nasce più. «Quest’anno avremo nascite sotto il mezzo milione: fra le 490 e le 495 mila. Significa 8 nascite ogni mille abitanti. Nell’Europa dei Ventisette si nasce molto di più: 10 nascite all’anno ogni mille abitanti. Sapete che vuol dire? L’Europa è l’area del mondo in cui si nasce meno, e tuttavia a noi, rispetto a quest’area, mancano 120 mila nascite».
In più, c’è il disavanzo fra le nascite e i decessi.
«Si muore di più perché si è accumulato un numero formidabile di ultravecchi. Continuando così, il disavanzo fra nascite e morti sarà di circa 150 mila unità, forse 170 mila. E in futuro potrebbe essere anche peggio».
Qual è motivo per cui gli italiani non fanno più figli?
«A questo proposito dobbiamo porci parecchie domande. Perché sempre più coppie oggi non vogliono figli? Nella storia dell’umanità non si è mai verificata una cosa del genere. E poi: perché aumenta l’infertilità delle coppie? Perché tra le coppie che possono e vogliono avere figli, una su due non ne vuole più di uno?».
Appunto: perché?
«Perché non si ritiene più che la realizzazione della vita umana passi attraverso i figli. La rivoluzione femminile ha innescato questo processo. La donna ha le chiavi della natalità. Ma oggi la donna sente il bisogno di una realizzazione che va al di là del fare figli. Oggi l’istruzione ai livelli più alti è sostanzialmente femminilizzata. Arrivano alla laurea, al dottorato, ai livelli più alti degli studi sempre più donne rispetto agli uomini. E questo è un fattore decisivo. Così come il lavoro femminile».
Pare che le donne siano molto penalizzate sul piano lavorativo, almeno questo sostengono varie organizzazioni che si battono per i diritti femminili.
«Non è così vero. Ci sono interi settori professionali che si stanno femminilizzando. L’istruzione, per esempio, è completamente femminile. Pensiamo poi alla sanità, al sociale, alla magistratura. Non ci sono quasi più maschi. Interi settori della vita sociale italiana si stanno femminilizzando e in quesi settori si entra tardi».
In sostanza, le donne – nel periodo in cui potrebbero avere figli con più facilità – sono impegnate a fare altro.
«Non c’è solo questo. C’è anche un altro elemento che pesa, ovvero la caduta valoriale del matrimonio».
Si spieghi.
«Un tempo, il matrimonio era una tappa che doveva essere attraversata da tutti, tanto che chi non si sposava era considerato un fallito, uno che non riusciva a realizzarsi. Per entrare nello stadio adulto bisognava passare dal matrimonio, un’istituzione che aveva un senso laico e pure religioso. Oggi invece il matrimonio ha perso grandissima parte del suo valore. Vige il modello del “basta l’amore, basta il sentimento” per poter stare assieme. Il paradosso è che oggi il matrimonio lo vogliono quelli che non possono contrarlo, come gli omosessuali. Che un tempo lo aborrivano».
Il matrimonio è così determinante per la questione figli?
«È decisivo. I figli si sono sempre fatti nel matrimonio, sostanzialmente. Perché il matrimonio assicura stabilità».
Ma tantissime coppie non sposate fanno figli.
«In realtà questo assunto è un po’ ingannevole. Molti figli che nascono da coppie non unite in matrimonio sono il frutto di progetti matrimoniali che verranno realizzati successivamente. Molte coppie di fatto hanno un figlio e poi si sposano. Lo dimostrano i numeri. Oggi in Italia l’età a cui si arriva al figlio è precedente all’età in cui ci si sposa. Prima era il contrario. Adesso si fanno figli intorno ai 31 anni e mezzo, mentre ci si sposa intorno ai 32 e mezzo. Il figlio in media si fa un anno prima del matrimonio. Si procrea e poi ci si sposa. Significa che il matrimonio rientra sempre nella questione figli».
Per quale motivo i matrimoni sono crollati?
«Perché il matrimonio non assegna vantaggi, ma solo un maggior carico di responsabilità, da cui si tende a fuggire. Un tempo il matrimonio era fondamentale soprattutto per lo status dei figli. Quelli che nascevano al di fuori del matrimonio erano considerati illegittimi, avevano molti meno diritti. Oggi, giustamente, i figli avuti nel matrimonio e quelli avuti fuori sono a tutti gli effetti uguali. Ma questo, paradossalmente, fa venire meno il vantaggio del matrimonio».
Ci sono anche questioni per così dire «culturali», se il matrimonio è in crisi profonda.
«Certo, c’è l’idea che non ha molto senso istituzionalizzaare un rapporto sentimentale che – si pensa – si regge soltanto sul sentimento. Il pensiero laico in questi anni ha messo appunto una filosofia in base alla quale un legame di tipo affettivo si regge da solo. Inoltre la situazione non matrimoniale richiede molte meno responsabilità».
Ne consegue che è in crisi anche la famiglia.
«È indiscutibile. La famiglia in Italia ha avuto anni di grandissimo successo, come forse non ne ha avuto da altre parti. Però ha retto meno all’impatto del divorzio, che è caduto sulla famiglia italiana in modo formidabile. La famiglia è sempre stata legata al matrimonio, per quasi tutta la storia italiana. Oggi invece ci sono tipologie di famiglie sempre diverse in cui il matrimonio non appare se non quando proprio non se ne può fare a meno. Sono tutte tipologie di famiglia che hanno un minor tasso di responsabilità».
Faccia un esempio.
«Non ci sono solo le famiglie che derivano da coppie di fatto. Ci sono anche quelle basate su coppie di fatto non conviventi. È una tipologia che sta emergendo con forza, in cui ciascuno dei due genitori vive in una sua realtà, e non c’è coabitazione o convivenza. In pratica, si vive una vita assieme senza stare assieme. Quello che emerge è un forte individualismo, che ha ibridato se non proprio soppiantato l’idea di famiglia. L’individualismo ha fortemente cambiato e trasformato la famiglia».
In teoria, però, nella società attuale si dovrebbe fare più sesso. Anche perché il sesso è ovunque.
«In verità, oggi si fa meno sesso di quanto ne facessero le generazioni passate. Non c’è paragone fra il sesso che faceva – fino alla fine degli anni Sessanta – una donna fra i 23 e i 25 anni e quello che fa una donna della stessa età oggi.Fino ai Sessanta, le donne di erano praticamente tutte sposate. Oggi si hanno sicuramente più partner, ma si fa meno sesso. Persino sulla precocità dei rapporti sessuali – che viene fatta passare come un fatto acquisito – ci sono dati molto contraddittori. Non è vero che oggi si fa sesso a quindici anni».
Insisto: sulla carta, le occasioni di avere rapporti sessuali sono molto maggiori oggi.
«Questa non è una società in cui i rapporti avvengono così facilmente. Sappiamo tutti che oggi ci sono ambienti in cui si possono avere facilmente incontri sessuali. Ma appena si comincia a pensare a rapporti di maggiore tenuta, si entra in difficoltà. Non a caso proliferano ovunque le agenzie matrimoniali. Perché è difficile avere rapporti – umani, non solo sessuali – che non siano estemporanei».
Aumentano le morti, diminuiscono terribilmente le nascite. Siamo destinati a scomparire?
«Io non sono così pessimista. I primi sette mesi di quest’anno mostrano che, rispetto all’anno precedente, il numero di matrimonio ha tenuto. E questo mi pare un indice più decisivo rispetto al numero delle nascite».
Insomma, c’è una speranza di ripresa, se non per il futuro.
«Sì, ma va coltivata. O si agisce da un punto di vista culturale o si arriverà davvero a dei punti limite. Anche perché, a un certo momento, persino le politiche nataliste non funzionano più. Da noi non hanno mai trovato un’applicazione organica, ma in Germania – per esempio – sì. E non funzionano più. I tedeschi hanno una natalità simile alla nostra anche attuando politiche di sostegno.Dare un assegno a chi fa figli non funziona, perché le persone preferiscono lavorare. Altri cinquant’anni così e la Germania sarà finita. È un problema culturale e dobbiamo deciderci ad affrontarlo seriamente».